Sul possibile accordo con la Cina, nonostante le rassicurazioni del premier Conte, gli Stati Uniti continuano a mantenere molte riserve e lanciano continui moniti all’Italia. Il braccio destro del consigliere per la Sicurezza nazionale John Bolton ha dichiarato che “l’Italia gioca d’azzardo”, mentre Mike Pompeo, il segretario di Stato Usa, ha ammonito sul fatto che si rischia di chiudere “con la Cina un’operazione opaca”, esortando l’Italia a “vagliare con attenzione gli accordi sugli scambi e sugli investimenti per essere certi che siano in linea con i princìpi di apertura e di correttezza del libero mercato”. E dalla Casa Bianca fanno sapere che potrebbe scattare uno stop alla condivisione di informazioni riservate e alla consegna di materiale sensibile nei porti di Genova e Trieste. Timori fondati o eccessivi? E gli Stati Uniti non potrebbero andare oltre i moniti e gli allarmi? Di fronte agli investimenti cinesi, che cosa può offrire l’amministrazione Trump all’Italia? Lo abbiamo chiesto al giornalista e analista americano Andrew Spannaus.



Perché gli Usa nutrono questi timori sull’adesione dell’Italia alla Nuova Via della seta cinese?

La Cina, in questi anni, sta diventando una grande potenza economica e, avendo un’idea un po’ diversa su come deve funzionare il mondo, rappresenta chiaramente un competitor per gli Stati Uniti. Con la sua attività economica Pechino sta estendendo la sua influenza: a parole è solo collaborazione, ma nei fatti ha un suo peso politico. Perciò, se alla fine i Paesi europei danno in mano alla Cina delle leve di comando dell’economia, questo preoccupa gli Usa, che hanno fortemente investito in un rapporto con l’Europa non solo economico ma anche strategico che dura da 75 anni. A preoccupare la Casa Bianca non è che i cinesi siano proprietari dell’Inter, questo poco importa, ma quello che può sembrare anacronistico o fantascientifico agli occhi degli italiani, per gli americani è invece un timore molto reale.



Quale?

La visione strategica del mondo: fra 30 anni, fra 50 anni, come saranno i rapporti di forza globali? Non sappiamo oggi quelle che potranno essere le sfide tra 20-30 anni, ma sappiamo che la Cina punta ad avere un peso maggiore rispetto a tutti gli altri Paesi. Chi, per esempio, avrà in mano le reti di telecomunicazione, sarà in grado di esercitare pressioni politiche ed economiche sui singoli Paesi. Ecco cosa preoccupa.

Sono davvero a rischio asset strategici e informazioni sensibili?

Asset strategici sicuramente. Il problema è capire che cosa si intende per “a rischio”. Non si vuole accusare i cinesi di fare chissà cosa, ma è chiaro che i cinesi, che già oggi hanno un forte peso in alcuni settori industriali importanti, potrebbero diventare fondamentali nei trasporti e nelle reti infrastrutturali. Non si tratta di investimenti a compartimenti stagni. La Cina non li vede così, e quindi neppure gli Stati Uniti non devono vederli così. Per la Cina sono parte di una grande rete, dentro la quale vogliono giocare un ruolo principale.

Come si è creata questa situazione?

Si è creata, in parte, anche per colpa dell’Occidente.

Perché?

Perché l’Occidente si è concentrato solo sulla finanza, pensando di poter controllare il mondo con i mercati finanziari e la speculazione. Sono 20 anni che si parla di Via della Seta, non è un progetto nato nel 2013, si sapeva già dalla metà degli anni Novanta che i cinesi sarebbero andati in questa direzione.

E l’Occidente cosa ha fatto?

E’ rimasto su finanza e servizi, pensando che non servisse più la capacità industriale, quella roba sporca, brutta e vecchia. Così, invece di lavorare insieme alla Cina per evitare uno squilibrio, è successo che la Cina di fatto ha acquisito ormai un potere che fa paura agli Usa. Giusto o sbagliato che sia averne paura, gli Stati Uniti, che si concepiscono come una superpotenza, vedono con preoccupazione l’ascesa di un’altra superpotenza, che non condivide completamente le stesse regole e la stessa visione di società.

Per l’Italia, oggi, l’alternativa ai cinesi che offrono investimenti per crescere è rappresentata da un’Unione Europea che sa solo imporre ricette di austerity. Perché, quindi, non dovrebbe accettare l’accordo proposto da Xi Jinping?

L’Italia viene spinta nelle braccia di Xi Jinping proprio dalle follie delle politiche europee, come è già successo con la Grecia. Ma, senza chiudere ai cinesi, la cosa da fare è cambiare le regole Ue, tornando a una politica sana. Questo è il problema: l’Italia, penalizzata fortemente a livello economico dalle politiche di rigore, va a chiedere i soldi a qualcun altro. Forse l’Europa dovrebbe guardarsi allo specchio e ammettere: dobbiamo cambiare registro per non dover dipendere da altri.

L’Italia, in effetti, vorrebbe cambiare le regole della governance Ue. Ma che appoggio sta ricevendo o potrebbe ricevere dagli Stati Uniti? Basta semplicemente dire: attenzione ai cinesi?

Saremmo tutti contenti, e parlo di coloro che hanno capito i guasti dell’austerity, se gli Stati Uniti facessero di più, ma il problema è delicato. Gli Usa hanno dato, e danno, appoggio al governo Conte, visto, per esempio, che non hanno mosso alcuna critica all’Italia durante le trattative con la Commissione Ue. Anzi, l’ambasciatore americano ha dichiarato che gli Stati Uniti vedono di buon occhio l’ipotesi di ridare stimoli maggiori alla crescita dell’economia. L’amministrazione Trump si è quindi smarcata dalla politica prevalente in Europa, ma questo atteggiamento è stato visto come un modo per rompere la Ue. Invece sarebbe intelligente vederlo come un modo per aiutare non solo l’Italia, ma i cittadini europei. Gli Usa, però, non possono spaccare l’Europa.

Cosa potrebbe mettere sul piatto l’amministrazione Trump per convincere l’Italia a non aderire al patto con la Cina?

Gli Stati Uniti vogliono solo mettere in guardia l’Italia. Non credo che si creerà una spaccatura più profonda. Gli Usa chiedono all’Italia di stare attenta e di non esagerare, perché questo avrà conseguenze in alcuni settori. Ma l’invito americano a evitare errori e ambiguità può far bene all’Italia e d’altro canto l’Italia deve chiedere e cercare la collaborazione degli Usa per sfruttare questa situazione come una nuova opportunità per cambiare l’Europa.

(Marco Biscella)