Il modo in cui Antonio Tajani, che è presidente dell’Europarlamento e numero due di Forza Italia, si è messo ad applicare l’analisi costi-benefici al fascismo evidenzia uno stato di sostanziale criticità del partito di Berlusconi. Di fronte alle critiche Tajani ha reagito rivendicando un’inattaccabile carta d’identità antifascista: “Si vergogni chi strumentalizza le mie parole sul fascismo! Sono da sempre un antifascista convinto. Non permetto a nessuno di insinuare il contrario. La dittatura fascista, le sue leggi razziali, i morti che ha causato sono la pagina più buia della storia italiana ed europea”. Le reazioni critiche non sono però mancate nello stesso Parlamento di Strasburgo, tanto che Tajani ha dovuto scusarsi compromettendo l’ipotesi di riconferma alla carica europea.
Rimane comunque da chiedersi perché il vice di Berlusconi sia intervenuto di sua iniziativa, a freddo, su un tema che – tra Brexit e Tav – era di nulla attualità.
Nel merito, sul piano storico, ha riproposto su Mussolini una sciocchezza “revisionista” che nulla a che fare con la lettura di Renzo De Felice. “Fino a quando – ha detto parlando al microfono de La zanzara di Radio 24 – non ha dichiarato guerra al mondo intero seguendo Hitler, fino a quando non s’è fatto promotore delle leggi razziali, a parte la vicenda drammatica di Matteotti, ha fatto delle cose positive per realizzare infrastrutture nel nostro paese, poi le bonifiche”. Si tratta cioè della tesi di Mussolini “traviato” da Hitler, quasi ci fosse una soluzione di continuità tra invasioni coloniali e dichiarazione di guerra, tra leggi “fascistissime” del 1926 e legislazione razziale del 1938. Sicuramente la bonifica delle paludi è per certi aspetti un modello anche attuale per come fu affidata e realizzata con perizia e lungimiranza. La stessa figura umana di Mussolini non manca di luci, come quando ha salvato Pietro Nenni dai tedeschi. Anche durante la guerra ha fatto cose “positive” come l’immediato avvio della ricostruzione della Scala.
Ma la rappresentazione del Mussolini “traviato” apre la strada a quella che sembra essere la ragione politica dell’intervento di Tajani e del significato testuale delle sue parole: il fascismo non è “tutto da buttare”. Purtroppo l’analisi costi-benefici – che già è controversa sulla Tav – è inapplicabile al fascismo. Vent’anni di partito unico con emarginazione, persecuzione, paura, delazione, culto della personalità e generale conformismo hanno rappresentato un “lavaggio del cervello” degli italiani che ha purtroppo inquinato il dna nazionale con danni di lunga durata.
E qui veniamo all’attualità politica: che senso ha questa sortita a freddo? Tajani, al di là della sua indignazione, si espone al facile sospetto di aver voluto sollecitare benevolenza da parte in primo luogo di Fratelli d’Italia di fronte al timore che possano sganciarsi da Silvio Berlusconi e finire nell’orbita di Matteo Salvini. A parte il fatto che se sul fascismo si può esercitare un vario “revisionismo”, qualsiasi analisi costi-benefici applicata al neofascismo nell’Italia repubblicana vede ben poco da elencare sulla seconda colonna, di certo emerge la sostanziale criticità in cui si trova Forza Italia. Finché l’alternativa a Berlusconi è stata interpretata da Casini, Fini e Alfano che muovendosi da soli finivano poi, uno dopo l’altro, nelle mani della sinistra, Forza Italia galleggiava tranquilla sull’onda lunga del moderatismo qualunquista. Ma nel momento in cui Salvini sviluppa l’alternativa con la “linea dura” sui migranti c’è, per il partito di Berlusconi, la realtà del ridimensionamento con anche il rischio dell’emarginazione.
L’alleanza giallo-verde come si è visto sulla Tav tende a un gioco delle parti nel tentativo di interiorizzare la stessa dialettica destra-sinistra nel suo seno. Quando Salvini insiste che il governo durerà anche dopo le europee forse non mente nel senso di pensare non un ritorno con Berlusconi, ma a un coinvolgimento di Fratelli d’Italia. Il dato politico significativo è infatti la ricostituzione del M5s da parte di Casaleggio e Di Maio come nuovi “fondatori” e con l’emarginazione di Grillo. Una mossa che non può che basarsi sulla convinzione che l’alleanza con la Lega non corre rischi.
Il vertice dei 5 Stelle si prepara cioè ad assorbire anche un brutto risultato mantenendo Palazzo Chigi, mentre Salvini punta a crescere come “dominus” associando la Meloni, i cui voti riportano in sicurezza la maggioranza anche in Senato. In queste settimane Di Maio e Salvini dominano la scena come se fossero protagonisti di un duello da sistema bipartitico e intanto, a fari spenti, avanzano nelle nomine. E’ da vedere se gli elettori confermeranno il bipartitismo Lega-M5s a fine maggio.