Governo saldo? Non proprio. Venerdì Salvini ha smentito chi gli attribuiva l’intenzione di rompere il contratto di governo dopo aver visto il memorandum Italia-Cina. Tutti a dire, perciò, che nulla sarebbe ancora deciso, che Salvini e Giorgetti ci starebbero ripensando proprio grazie al Golden Power, che consentirebbe all’Italia, in sede di esecuzione degli accordi, di salvaguardare gli asset strategici per il paese.
Ma questa volta non basterà un vertice a Palazzo Chigi per rimettere le cose a posto. La situazione, infatti, è molto più intricata e compromessa di quanto potrebbe apparire a prima vista.
Come è noto, nell’agosto scorso Tria andò a Pechino. Non cerco compratori per i nostri titoli di debito, disse il ministro dell’Economia. Oltre a quattro accordi di cooperazione bilaterale e ad investimenti in reminbi da parte di Bankitalia, sul tavolo c’erano i consueti “investimenti diretti” Italia Cina e viceversa. In realtà si trattava del dossier One Belt One Road, solo che da quel momento in poi a gestirlo non era più il solo (finora) ex ministro del governo Conte con le competenze e la credibilità internazionale necessarie per giocare bene la partita. Qualcun altro aveva fiutato la grande occasione e pensò di intestarsi il dossier. Un’opportunità irripetibile per rilanciare gli investimenti in tempo di crisi imminente a suon di miliardi (cinesi) e farsi pubblicità all’approssimarsi delle europee.
Qualcosa tuttavia è andato storto e lo si è capito quando, a venti giorni dall’arrivo di Xi Jinping in Italia, Washington ha dissuaso l’alleato (ancor più amico dopo l’insediamento del governo giallo-verde) dal firmare accordi strategici più grandi di lui. Davvero un duro colpo per l’Italia non poter condividere più le informazioni dell’intelligence statunitense. Residui di vecchio imperialismo americano in tempi di “America First”? Macché.
Una domanda andrebbe posta al premier Conte: il governo ha informato l’amministrazione americana della volontà di entrare nella Via della Seta e soprattutto degli accordi che Roma intendeva firmare? Sì, direbbe probabilmente Conte. No, direbbero dall’altra parte dell’Atlantico.
E avrebbero ragione, perché così non è stato. Prudenza politica voleva che la visita di Xi avvenisse dopo una lunga fase preparatoria e un fitto dialogo con Washington e dopo aver consultato le cancellerie europee che contano, vale a dire Berlino e Parigi, che, piaccia o no, continuano a condurre le danze europee. L’Italia avrebbe perfino potuto ambire al ruolo di laboratorio del nuovo equilibrio sino-americano in tempo di guerra dei dazi e di declino dell’Unione.
Invece, i risultati di un’operazione maldestra emergono tutti nel balletto di questi giorni. “Le chiavi di casa in mano agli italiani”, ha ripetuto ieri Salvini, accodandosi ad un Giorgetti che per primo ha mangiato la foglia e ha capito che questa volta la posta in gioco è molto, molto alta e ci si può fare male davvero. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha usato ogni occasione possibile in questi ultimi giorni per fare distinguo, “metteremo paletti”, accordi sì ma non sulla sicurezza, e via dicendo. Fino al forfait di Salvini alla cena con Xi Jinping. Resta emblematica la surreale notizia che il Colle avrebbe dato il benestare alla firma del memorandum solo dopo aver ricevuto rassicurazioni sull’opzione italiana per il 5G americano. Una evidente fake news che tradisce l’imbarazzo per una vicenda finita fuori controllo, perché a Pechino sanno benissimo che il 5G non può e non potrà essere oggetto di trattativa: sarebbe come se il secondo governo Craxi avesse dato il via libera all’installazione di missili sovietici SS20 a due passi dalla base di Aviano.
Altro che normale dialettica interna al governo gialloverde, dunque. Nella Lega hanno capito al volo che la Via della Seta è completamente sfuggita di mano al trio Conte-Di Maio-Geraci, che si è intestato la trattativa senza saperla condurre e soprattutto senza mai alzare il telefono con l’alleato americano.
E allora si salvi chi può. La soluzione più indolore sarebbe che il memorandum raggiungesse le altre decine di accordi firmati nel tempo tra Italia e Cina e rimasti lettera morta. Ma non sarà così. Se la visita non può essere annullata, onde evitare di perdere la faccia, il nuovo governo dovrà correre ai ripari e fornire molte spiegazioni agli Stati Uniti. E ricucire. A farlo, però, non sarà più Giuseppe Conte.