Stretta fra Washington e Pechino, Roma rischia di fare la fine del manzoniano “vaso di coccio fra vaso di ferro”. Avvicinarsi al gigante asiatico senza un preventivo informale via libera dello storico alleato del nostro paese potrebbe rivelarsi un errore fatale per il governo Conte. Che questo avallo sia mancato appare ormai evidente, e la garanzia fornita da Sergio Mattarella, da sempre considerato più che affidabile oltreoceano stavolta non basta.
A dire chiaramente che quella del memorandum sulla nuova Via della Seta è una strada insidiosa si è incaricato Matteo Salvini, tentato dal disertare il pranzo di Stato fissato per venerdì sera al Quirinale in onore del presidente cinese Xi Jinping. Il Capo dello Stato ci ha messo la faccia per cercare di smorzare le polemiche, ma ci è riuscito solo a metà. Alla fine della riunione del Consiglio Supremo di Difesa, la scorsa settimana, ha lasciato trapelare che certe polemiche erano apparse sproporzionate, e soprattutto che le delicatissime reti 5G erano al sicuro, fuori dalla portata del memorandum da sottoscrivere con la Cina.
Visto che agli Stati Uniti le rassicurazioni non sono bastate, è diventato evidente che quella di Conte, Di Maio e Geraci è stata una fuga in avanti. A chi obietta che Francia e Germania fanno con i cinesi molti più affari di noi (i numeri sono incontrovertibili), deve essere obiettato che lo fanno senza mettersi sulla traiettoria degli argomenti considerati più delicati dalle parti del Pentagono e del Dipartimento di Stato americano: le reti di trasporto (i nostri porti) e soprattutto le telecomunicazioni, oggi spina dorsale di qualunque sovranità. Non aver capito in tempo la lezione guardando all’ostracismo contro Huawei può costare molto caro.
Il governo giallo-verde ha davanti a se una settimana delicatissima. Da qui a venerdì mattina, quando l’uomo più potente del mondo, il presidente cinese, scenderà dalla scaletta del suo aereo a Fiumicino bisogna ottenere maggiori garanzie, con il rischio però che siano i cinesi a urtarsi, facendo saltare ogni accordo. E Salvini potrebbe trasformarsi nella longa manus degli americani, che qualcosa a Giorgetti durante il recente viaggio oltreoceano potrebbero aver detto. La minaccia e chiara nelle parole del leader leghista: “La sicurezza viene prima dei ragionamenti economici, non svenderemo i dati sensibili”. Anche Mattarella è avvisato dal rischio di schiacciarsi troppo sulle posizioni pentastellate.
Ma questa settimana la tensione dentro il governo sembra destinata, se possibile, ad alzarsi ancora anche per altre ragioni. Delicatissimo appare il passaggio del Consiglio dei ministri di mercoledì, chiamato a varare il decreto già battezzato come sblocca-cantieri, con i 5 Stelle che faticano a scrollarsi di dosso l’etichetta di “signor no”, dopo lo scontro sulla Tav, che è ben lontano dal potersi dire risolto.
E all’elenco già sterminato di questioni aperte, Salvini sembra intenzionato ad aggiungere l’ennesimo capitolo. Il rilancio della flat tax è stato accolto con il gelo da di Maio: “L’importante – ha avvertito – è di non fare facili promesse alla Berlusconi”. E con il ministero dell’Economia è già guerra di numeri, fra i 59 miliardi stimati dai tecnici di via XX Settembre e i 12 previsti dagli esperti del Carroccio. Nel frattempo si avvicina la data prevista per la presentazione in Parlamento del Documento di Economia e Finanza chiamato a indicare come si intende evitare l’aumento dell’Iva. Qualcuno, però, ha già messo in giro la voce che la scadenza del 10 aprile potrebbe non essere rispettata. Per i mercati non sarebbe certo un messaggio rassicurante.
In una situazione già di per sé esplosiva aprire nuovi fronti appare rischioso, a meno che non si abbia l’intenzione di rompere. Salvini ha avuto un’occasione d’oro due settimane fa, sulla Tav, ma ha volutamente sparacchiato in tribuna un rigore a porta vuota. Se avesse rotto sulla Torino-Lione tutte le categorie produttive avrebbero applaudito, e ci sarebbero stati i tempi persino per un voto anticipato in abbinata alla europee. Se ha scelto di tenere in piedi questo esecutivo balbettante, significa che immagina di avere ancora un tornaconto dalla situazione. Ma questo stato di cose non potrà trascinarsi all’infinito. Le elezioni europee sono dietro l’angolo.