La campanella ha suonato due volte per Nicola Zingaretti. Ora il neosegretario deve lasciarsi alle spalle il momento delle attese, il grande entusiasmo della vittoria, la copiosa sudata del suo ultimo discorso e via, deve partire. Come ad un cavaliere a cui si chiede di fare il miracolo, il nuovo segretario del Pd è dunque montato in sella ad un cavallo (il suo partito) mai realmente domo, ed è costretto ad affrontare un percorso denso di ostacoli. Un percorso molto difficile e di un livello superiore alle normali prove a cui è stato abituato in questi anni, per di più con un limite di tempo assai ristretto.



Non ci resta ora che provare ad immaginare se egli riuscirà a raggiungere il traguardo sano e salvo, e con quante penalità.

Ostacolo n. 1

Dopo l’ampia curva descritta nel suo lungo intervento di insediamento, Zingaretti dovrà affrontare il primo ostacolo, semplice, invitante, ma insidioso: la nuova segreteria. Le prime a restare deluse saranno le sue amazzoni (Paola De Micheli, Marina Sereni) che da giorni si contendono sui giornali la vice-segreteria, perché tanto la numero due diventerà sì una donna, ma della corrente di Martina/Lotti, probabilmente scelta tra la Malpezzi e la Bellanova.



Ostacolo n. 2

Appena il tempo di archiviare il nuovo esecutivo che al neosegretario toccherà affrontare l’annosa questione della burrascosa federazione di Napoli, questa volta disciolta dall’ordinanza di un giudice che ha annullato per brogli il congresso del 2017. Probabilmente ci manderà come commissario il fidato Michele Meta.

Ostacolo n. 3

Superato l’ostacolo Napoli ecco, in linea, comparire un ostacolo ben più largo: La Sicilia. Lo scudiero di Renzi – Davide Faraone – ha fatto tabula rasa in Sicilia e del Pd è rimasta solo una flebile traccia. Probabilmente toccherà al napoletano Nicola Oddati, neoresponsabile del Mezzogiorno, in veste di commissario, rianimare le poche forze disponibili e condurre la battaglia per le europee.



Ostacolo n. 4

Ecco apparire il primo vero ostacolo del suo difficile percorso, la gabbia costituita dal voto regionale in Basilicata e in Piemonte. Se le folle oceaniche lucane che acclamano Salvini lasciano intravedere l’ennesimo trionfo sovranità al Sud, tutte le speranze sono sull’ormai non più giovane Sergio Chiamparino, che ha affidato al movimento Sì-Tav e all’alleanza con le “madamine” le sue concrete possibilità di vittoria.

Ostacolo n. 5

Intanto le liste europee dovranno vedere presto la luce e molti aspettano il nuovo segretario alla prova dei fatti. Probabilmente i capilista del Nord (Pisapia, Cacciari) e del Centro (Calenda) sono ormai acquisiti. Mancano – neanche a dirlo – i nomi del collegio più difficile: quello del Sud. Zingaretti si giocherà la carta Roberto Saviano? Sceglierà il sempre più amato Maurizio De Giovanni? O si affiderà  alle più sperimentate macchine da voti, come potrebbe essere a sorpresa una candidatura di Vincenzo De Luca, in vista anche di una sua rimozione da candidato alle regionali del 2020?

Ostacolo n. 6

Fatte le liste, bisogna fare le alleanze. Sembra difficile che sul “tema Macron” il Pd possa far finta di non vedere l’ostacolo. Saprà Zingaretti superarlo senza toccare nessuna barriera? Alcuni esponenti piddini per provocarlo hanno firmato l’appello del presidente francese (Renzi, Gozi, Giachetti), ma le forze alleate in Europa intorno al Pse guardano da un’altra parte. Zingaretti non potrà fare finta di nulla.

Ostacolo n. 7

Il voto del 26 maggio è la doppia gabbia da cui Zingaretti potrà uscire mortalmente sconfitto o con in tasca una vittoria senza precedenti. Se, e sottolineo se, il Pd dovesse avvicinarsi al 20% o addirittura infilare i 5 Stelle in discesa e scavalcarli, per Zingaretti l’ultima parte del percorso sarebbe davvero in discesa, potrebbe trasformarsi in una marcia trionfale.

Ostacolo n. 8

Il voto europeo avrà una coda assai complessa e fastidiosa con il secondo turno delle amministrative. Se il primo turno in contemporanea con le europee è rimasto in ombra, i ballottaggi riproporranno il tema di come fare a riprendersi i voti dei grillini.

Ostacolo n. 9

Con la Lega ai massimi storici (prenderanno il 35%? C’è qualche sondaggista che si sbilancia e parla addirittura del 40%) e il Movimento di Di Maio precipitato sotto il Pd, lo scenario di un’inevitabile crisi di governo si apre proprio mentre il segretario imbocca l’ultimo rettilineo. Cosa farà il nostro cavaliere? Tenterà di aprirsi un varco e proverà a ribaltare il corso della storia?

Ostacolo n. 10

Ma ecco che, proprio a questo punto, appare ai suoi occhi l’ostacolo più difficile, il più largo, il più grosso dell’intero percorso: Sergio Mattarella. Saprà il nostro eroe superare l’ostilità del Presidente a sciogliere anticipatamente le Camere e ottenere le elezioni anticipate?

Ostacolo n. 11

Ammesso e non concesso che Zingaretti sia riuscito a superate le obiezioni del Quirinale, rifiutando ancora una volta di stringere accordi con l’esercito grillino in disfatta, resta l’ostacolo più insidioso, il muro del gruppo parlamentare. Essi non sono solo in maggioranza di fede renziana, ma soprattutto tenteranno di tenersi ben stretti i propri seggi, che per molti sarebbe davvero difficile riconquistare.

Ostacolo n. 12

Vinte le resistenze di Mattarella, piegato il gruppo parlamentare, resta da fare i conti con l’acqua della riviera, il penultimo ostacolo, la legge elettorale in vigore. Riuscirà il nostro eroe ad ottenere un cambiamento anche se lieve? Eliminare almeno quel vincolo tra voto nei collegi e voto proporzionale che tanti danni ha fatto al Pd il 4 marzo scorso?

Ostacolo n. 13

In dirittura d’arrivo il nostro eroe deve affrontare l’ultimo terribile ostacolo: il voto politico degli italiani. Eppure Zingaretti ha davanti a se un jolly racchiuso in due possibilità: un verticale enorme, che se superato potrà addirittura regalargli la vittoria; un verticale più basso, da cui può uscire ugualmente con un risultato politicamente soddisfacente: rimanere la seconda forza del paese, spaccare l’alleanza gialloverde e neutralizzare la capacità dei grillini di monopolizzare il voto di sinistra.

Certo il risultato lascerebbe Salvini padrone incontrastato del paese. Ma questa è un’altra storia, difficile da scrivere e soprattutto troppo complicato prevedere ora come potrebbe andare a finire.