Insieme alla Tav, l’autonomia differenziata è l’altra spina nel fianco del governo. Un Luca Zaia esageratamente ottimista ha detto ieri al Corriere che “il tema è finalmente in rampa di lancio”. Ma è imprudente credere che i giochi siano fatti. Al contrario. “Il primo problema sta nel procedimento – spiga al sussidiario Sandro Staiano, ordinario di diritto costituzionale nell’Università Federico II di Napoli -. E il procedimento seguito dal governo è costituzionalmente illegittimo”.



Quale procedimento e quale governo, professore?

Mi riferisco agli accordi preliminari che il governo Gentiloni ha stipulato con Veneto e Lombardia, alle quali si è unita anche l’Emilia-Romagna.

Non è l’articolo 116 della Costituzione a dire che ulteriori forme di autonomia possono essere attribuite (ad altre Regioni oltre quelle speciali e le province autonome) “sulla base di intesa” tra lo Stato e la Regione interessata? 



Sì, ma per stipulare l’intesa è necessaria una legge di attuazione dell’articolo 116. E tale legge non c’è. Solo sulla base di essa si può stabilire quale procedimento seguire.

Come è stato possibile che si facesse questo errore?

E’ successo che alla fine della legislatura, sotto la pressione della campagna elettorale, per non scontentare le forti Regioni del Nord, il governo Gentiloni ha sottoscritto con Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna un “preliminare” di intesa, nel quale è detto che saranno seguite le modalità previste dall’articolo 8 comma 3 Cost., norma relativa alle intese tra lo Stato e le confessioni religiose diverse da quella cattolica. Che è rapporto tra ordinamenti distinti, molto simile a quello che sussiste nelle relazioni internazionali. 



Con quali conseguenze?

La prima è che la Regione si pone come ordinamento “altro” rispetto allo Stato, secondo una prospettiva del tutto estranea al principio di unità e indivisibilità della Repubblica, affermato dall’articolo 5 Cost., contestualmente a quello di autonomia. La seconda è che il Parlamento non avrebbe alcuna voce di fronte all’accordo: potrebbe soltanto o approvarlo o respingerlo, senza nessuna possibilità di emendarlo salvo l’assai poco efficace strumento della richiesta di una revisione bilaterale dell’intesa. Prendere o lasciare, in sostanza. 

Sta qui l’incostituzionalità?

Sì, perché il riferimento dell’intesa all’articolo 8 Cost. è del tutto arbitrario. Nel sistema italiano il rapporto tra le Regioni e lo Stato non è di tipo internazionalistico. Secondo l’articolo 5 Cost., la Repubblica “riconosce e promuove le autonomie locali”, ma è “una e indivisibile”. Unità e indivisibilità da una parte e autonomia dall’altra sono due facce del medesimo sistema. Ogni diversa conformazione del sistema è al di fuori del quadro costituzionale. 

Questo per quanto riguarda le Regioni. E quanto al Parlamento?

Con il preliminare di intesa il governo Gentiloni ha adottato un atto senza alcun fondamento normativo, frutto di una scelta precipuamente politica, con l’effetto di limitare illegittimamente la sovranità delle Camere.

Ma allora l’autonomia differenziata è destinata a cadere come un castello di carte.

Certamente. Però il governo potrebbe anche decidere di ripiegare, trovando una soluzione che consenta il dibattito parlamentare.

La strada maestra?

Approvare una legge attuativa dell’articolo 116 Cost. Probabilmente questo non avverrà. L’alternativa sarebbe trovare una soluzione che non applica l’articolo 8 comma 3 Cost. Prima occorre definire il metodo, e poi il contenuto.

Facciamo un passo in direzione del contenuto?

Alcune Regioni chiedono un massiccio spostamento di competenze non solo amministrative, ma anche legislative, senza averlo fatto precedere da alcuna analisi delle funzioni – funzioni che coinvolgono i capisaldi del welfare italiano, come sanità e istruzione. Le Regioni chiedono massicci trasferimenti di poteri, ma non dimostrano, e neppure argomentano, su quale fondamento lo facciano.

Non basta il principio di sussidiarietà previsto in Costituzione?

La sussidiarietà conduce di certo a dislocare le competenze al livello più vicino alle comunità governate. Ma non è consentito un processo centrifugo fine a se stesso. La sussidiarietà deve condurre a rendere più efficiente e più partecipato l’esercizio delle funzioni. Per dislocare una funzione occorre cioè dimostrare che essa abbia una dimensione oggettiva corrispondente alle connotazioni demografiche, territoriali ed economiche di un determinato livello di governo. E che ci si possa attendere che il livello di efficienza sia almeno pari a quella conseguibile con l’attribuzione allo Stato.

L’esperienza di governo di alcune Regioni più virtuose di altre non costituisce una prova sufficiente?

Nessuno intende negare esperienze di buon governo. Ma qui non si può trattare di propaganda o di narrazioni ideologiche. Si tratta di riorganizzare, su base scientifica e in piena consonanza con la Costituzione, la spettanza e l’esercizio delle pubbliche funzioni in Italia. A tutt’oggi nessuna analisi delle funzioni degna di questo nome e tale da fondare un simile processo è stata ancora compiuta.

Stiamo parlando di Lep, Lea e costi storici necessari a definire i costi standard?

Certamente: la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni deve precedere ogni trasferimento di funzioni e di risorse. Nel momento in cui i servizi hanno una qualità diversa nelle varie parti del paese, evidentemente bisogna trovare le forme per riequilibrare e rendere più efficienti servizi. Ma non si rende più efficiente un servizio togliendo le risorse, e spingendole, per le Regioni meno favorite, sotto la soglia dell’essenzialità.

Dunque è convinto che si voglia una “secessione dei ricchi”?

La formula è controversa ma efficace. Non si dà alcuna dimostrazione della validità del trasferimento di funzioni in termini ordinamentali. In queste condizioni, il trasferimento delle competenze è in realtà strumentale al trasferimento delle risorse che si vogliono trattenere sul territorio della Regione. Non è una supposizione: è stata la stessa  Regione Veneto a dire di voler trattenere il 90 per cento del gettito erariale. Un vero e proprio rovesciamento della logica fiscale nazionale.

Come spiega che una Regione importante del Sud come la Campania abbia chiesto l’autonomia?

La ritengo un’intelligente mossa tattica, per sedersi al tavolo della trattativa con il Governo, far venire alla luce protocolli finora segreti, o almeno assai opachi, e impedire quella sorta di trattativa privata tra poche Regioni del Nord ed Esecutivo nazionale.

(Federico Ferraù)