Gli immigrati sono stati fatti sbarcare e la nave Mare Jonio posta sotto sequestro, mentre la procura di Agrigento ha aperto un fascicolo contro ignoti per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Si è concluso così ieri sera nel porto di Lampedusa il blitz della nave della Ong italiana Mediterranea saving humans, che nel pomeriggio di lunedì aveva soccorso 49 migranti al largo della Libia. Immediatamente era scattata la risposta del ministro dell’Interno, che lunedì sera ha firmato una direttiva di contrasto alle Ong. “Ho informazioni, faccio il ministro: è certo che questa imbarcazione non abbia soccorso naufraghi che rischiavano di affogare ma sia inserita in un traffico di esseri umani, organizzato, concordato e programmato” ha detto ieri Salvini.
Il caso della Mare Jonio, sulla quale era imbarcato anche l’ex no global e “disobbediente” Luca Casarini, esponente dei centri sociali veneti, arriva alla vigilia del voto con cui l’aula del Senato si pronuncia sull’autorizzazione a procedere a carico di Salvini per il caso Diciotti.
Per l’ammiraglio Fabio Caffio, esperto di diritto del mare e consigliere scientifico del Cenass, la direttiva emanata da Salvini contiene una anomalia che potrebbe pregiudicare l’efficacia dell’azione di governo. Ora, spiega Caffio, “occorre disciplinare il soccorso operato spontaneamente dai mercantili nelle zone Sar straniere fornendo indicazioni sulla scelta del luogo di sbarco”.
La Mare Jonio avrebbe mandato la richiesta di place of safety (Pos) prima dell’emanazione della direttiva del Viminale.
Direttiva o no, una nave mercantile non può scegliersi autonomamente il porto di destinazione.
Perché dice una nave mercantile?
Perché di questo si tratta: le navi Ong in termini giuridici sono navi mercantili private e come tali sono iscritte nei registri dei paesi di bandiera.
Lei ha qualche obiezione sulla direttiva emanata da Salvini. Perché?
Perché è orientata alle navi Ong e questa mi pare un’anomalia. Avrebbe dovuto mantenere un carattere più generale, rivolgendosi a tutte le navi mercantili e segnatamente alle navi Ong solo per quanto riguarda l’ingresso nelle acque territoriali in violazione delle norme sull’immigrazione.
Ci spieghi meglio.
La circolare affronta due questioni: il soccorso della vita umana in mare e quello dell’ordine e della sicurezza pubblica in mare. E’ una forzatura assommare le due cose, perché ogni ministero ha le sue competenze. E le competenze dei Trasporti finiscono dove cominciano quelle dell’Interno. Ma il salvataggio della vita umana in mare è di esclusiva competenza dei Trasporti, che è il dicastero di riferimento del Corpo delle capitanerie di porto-Guardia costiera.
E per quanto riguarda il salvataggio in acque internazionali?
E’ perfettamente disciplinato nella direttiva ed è di competenza dell’autorità marittima nella veste di Maritime rescue coordination centre (Mrcc-Roma), che si raccorda con il Centro di coordinamento internazionale della direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Dipartimento di pubblica sicurezza. In altri termini, il testo dell’Interno disciplina il salvataggio della vita umana in mare in modo conforme al diritto internazionale lasciando impregiudicate le successive misure di ordine pubblico da attivare nel momento in cui un’imbarcazione nazionale o straniera che trasporta migranti voglie entrare nelle acque territoriali. Ma non è questo il punto.
Allora qual è la sua obiezione?
Nella direttiva Salvini si fa riferimento al decreto interministeriale del 14 luglio 2003. La citazione di questo decreto che trattava il fenomeno migratorio via mare in modo unitario, Sar compreso, può forse giustificare il fatto che in essa sia compresa anche la disciplina del soccorso spontaneo dei mercantili. Tuttavia devo notare che lo stesso decreto è legato ad una stagione oramai superata, vale a dire quella attuativa della legge Bossi-Fini, che aveva previsto l’azione dello Stato sul mare con interventi di respingimento. Allora si pensava ad azioni di contrasto, un termine che ormai non viene più usato per le acque internazionali.
Il Viminale a guida Salvini non sta facendo azione di “contrasto”?
No, perché in passato “contrasto” voleva dire riaccompagnare le navi indietro, eventualmente anche in modo coattivo. Oggi il contesto – anche per via della condanna subito dall’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Hirsi – è completamente mutato e dunque la norma che fa da riferimento alla direttiva non è più attuale. A prescindere da questo mutamento di modus operandi, è pur vero che che lo steso decreto del 2003 è in rapporto di continuità con il “decreto Napolitano” del 25 marzo 1998. Napolitano, in veste di ministro dell’Interno (1996-98, governo Prodi, ndr) aveva infatti emanato norme che dopo tutto sono vicinissime a quelle odierne; basti dire che era stata delegata alla Guardia di finanza la tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica in mare. E infatti è stata la Gdf a salire a bordo della Mare Jonio in quanto il Corpo è tuttora il referente legislativo della “sicurezza del mare” sulla base del decreto legislativo 177 del 19 agosto 2016.
Mentre il salvataggio della vita umana in mare?
Era ed è di competenza del ministero dei Trasporti che si avvale del Corpo delle capitanerie di porto-Guardia costiera. Allora come oggi.
Quindi?
Quindi c’è un problema di coordinamento. Mi sarei aspettato una direttiva a doppia firma Toninelli-Salvini, proprio come il decreto del 2003 venne emanato dall’Interno di concerto con Economia, Trasporti e Difesa.
Qual è la sua spiegazione?
Il ministro dei Trasporti potrebbe aver preferito tenere un profilo basso, anche a causa del momento politico. Però oggi (ieri, ndr) il Messaggero, molto ben informato, ha scritto che la direttiva è stata concordata anche con il ministro dei Trasporti. Quindi un coordinamento de facto c’è stato. Avrei rafforzato l’azione del governo facendo vedere che le due amministrazioni sono d’accordo.
Il governo come potrebbe risolvere il problema che lei ha individuato?
Ora mi aspetterei che i Trasporti emanino delle linee guida sul salvataggio della vita umana in mare in cui sia disciplinato compiutamente il soccorso operato spontaneamente dai mercantili (siano essi Ong o normali navi commerciali) nelle zone Sar straniere fornendo indicazioni sulla scelta del luogo di sbarco (Pos).
Lei ha sottolineato che le Ong sono classificabili come navi mercantili. Non crede che così si perda la loro peculiarità? Lei come la definirebbe?
Le navi Ong sono mercantili che in un certo senso operano con finalità politiche per il perseguimento della missione che si sono date. E’ vero che si propongono fini umanitari, però in alcuni casi svolgono azioni non convenzionali: fanno una sorta di disobbedienza civile e pertanto la loro azione non esclude di poter entrare in conflitto con lo Stato di riferimento.
Cosa pensa del soccorso prestato dalla Mare Jonio?
Si presta a due rilievi: ha disatteso la competenza della Libia e ha scelto autonomamente di venire in Italia. La Mare Jonio avrebbe dovuto sbarcare le persone in Libia, Tunisia o Malta che erano i luoghi più vicini. In caso di soccorso tutti i mercantili devono raggiungere al più presto il porto più vicino, o come dice la direttiva il più “prossimo alle coordinate marine d’intervento”. E infatti la Tunisia distava dal luogo di recupero alcune decine di miglia, Lampedusa 160 miglia.
Il modo di operare delle Ong avviene in violazione del diritto del mare?
Sì, nella misura in cui, svolgendosi in modo spontaneo e quasi “anarchico”, non rispetta le competenze degli Stati. Ogni Stato ha infatti una sua autorità responsabile: l’Italia a Roma, la Libia a Tripoli, la Tunisia a Tunisi.
Le obietto che si fanno autonomamente carico di un’emergenza che nasce in acque internazionali.
Assolutamente no. E’ improprio parlare di acque internazionali, perché quando si parla di soccorso della vita umana in mare si parla di zone Sar. Le zone Search and rescue sono aree di responsabilità: aree che gli Stati hanno dichiarato ai fini dello svolgimento del servizio di ricerca e soccorso.
Cosa può dirci della nostra Sar?
Una svolta si è avuta il 23 giugno 2018, quando la nostra Guardia costiera -che sino ad allora aveva coordinato anche i soccorsi al di là della propria area di competenza stabilita dal Dpr 662/1994 – si è adeguata alla nuova linea politica del ministro dell’Interno di non fare più salvataggi nella zona Sar libica, ovviamente sulla base d’intesa con le autorità libiche cui è stata riconosciuta la piena titolarità delle funzioni di soccorso.
Se applichiamo tutto questo alla Mare Jonio?
La nave avrebbe dovuto coordinarsi con le autorità libiche. Non può pretendere di entrare in acque territoriali italiane, a meno che non venga autorizzata a farlo, come è accaduto poco fa (ieri sera, ndr). Non c’è nessuna norma che imponga l’ingresso in acque territoriali di uno Stato di persone in posizione irregolare.
(Federico Ferraù)