La realtà continua a superare la fantasia, nella politica italiana. La formula dell’approvazione di una legge “salvo intese”, già adottata – dalla maggioranza bicolore che guida, si fa per dire, il Parlamento italiano – per il Ddl spazzacorrotti e il Dl Genova, ha fatto tris con il decreto sblocca-cantieri, varato ieri appunto con questa formula dal Consiglio dei ministri, in modo da poter ritoccare ancora, nel dipanarsi della permanente trattativa politica in atto tra grillini e leghisti, il testo timbrato a palazzo Chigi. Significa, in sostanza, che per ora nulla è davvero deciso. Il che, per una norma d’emergenza, è un po’ atipico.
La ferrea volontà dei due leader, Matteo Salvini e Luigi Di Maio, di andare avanti insieme a ogni costo, su questo terreno è veramente messa a dura prova e una volta di più la tensione tra i due blocchi è palpabile. Nel dna dei grillini c’è una granitica ostilità a tutto quello che evoca lavori in corso, scavi, fondamenta, gettata di cemento, tondini di ferro. Per i leghisti tutti questi sostantivi sono sinonimo di progresso e di benessere, di economia che gira, di danè che si moltiplicano. Come mediare tra il diavolo e l’acqua santa?
Può provarci il premier Conte – infaticabile, in verità, nel tentare l’impossibile -, ma chiaramente sempre con la cifra del compromesso, madre seriale di soluzioni claudicanti. Il dato di sostanza è che non potendo conciliare gli opposti si tende a ridimensionare la portata dei provvedimenti e dunque, nel caso dei lavori pubblici, isolare (stralciare, si sarebbe detto nel gergo delle “repubbliche” precedenti) il dibattito sui grandi temi (che sarebbero poi quelli decisivi) per focalizzarlo su provvedimenti specifici, di impatto minore se individualmente considerati, in modo da poter poi, ciascuna parte in campo, rivendicare col proprio elettorato successi parziali da presentare come preferibili alle due alternative diversamente impossibili: la resa incondizionata dell’una parte all’altra, oppure l’assoluta inazione.
L’unica, vera esimente che entrambi i blocchi possono rivendicare è l’aver dovuto intervenire su un quadro normativo preesistente – del quale non sono correi né Lega né M5s – del tutto delirante. A oggi, il codice degli appalti, monumento all’ipercorrettismo paralizzante di derivazione giuridico-talebana, è in sostanza un enorme semaforo rosso che paralizza quasi ogni lavoro. E dunque, nella bozza di provvedimento presentata dal ministro Toninelli si apre la strada a un passo successivo delicatissimo e quindi ancora da perfezionare: tornare al vecchio regolamento unico del Codice degli appalti, cancellando le successive regole dell’Anac. Secondo l’uomo del Ponte, questa mossa dovrebbe semplificare aggiungendo però trasparenza al sistema, che suona come un ossimoro eppure è l’enunciato sul quale è stata trovata un po’ di convergenza. Controlli sì, ma anche mano libera. Molto veltroniano, come atteggiamento…
E il mini-condono sulle irregolarità commesse negli edifici privati pre-1977? I grillini hanno detto no, spetterà alle “intese” da costruire da oggi individuare la pietra filosofale capace di far rientrare dalla finestra del politicamente accettabile una regola espulsa dalla porta del contratto di governo. Altrimenti, come potrebbe Salvini dar seguito all’impegno assunto con i suoi elettori di “far ripartire l’edilizia privata, le manutenzioni, le messe a norma, gli adeguamenti ambientali e antisismici con sconti alle famiglie per far ripartire il settore edilizia”, perché “se non riparte l’edilizia è un problema”?
La decisione è stata quella di non decidere subito, ma di prendersi per stanchezza. La stanchezza degli italiani, che però questa maggioranza hanno saputo esprimere e non qualunque altra.