Xi Jinping è arrivato in Italia: oggi avrà una serie di incontri istituzionali con Mattarella, Casellati e Fico e domani ci sarà il momento clou della visita: la firma del Memorandum of Understanding con cui il nostro Paese aderisce all’accordo sulla Nuova Via della Seta. Un accordo che continua ad attirare timori e perplessità. “Non c’è da convincere nessuno – ha dichiarato ieri il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, all’ingresso del vertice Ue a Bruxelles – perché l’accordo o si sottoscrive o non si sottoscrive. Doverosamente, siccome siamo in famiglia, informerò i miei partner su quello che stiamo facendo, ma è ovvio che siamo in pieno accordo e non c’è nessun problema“. E’ proprio così? “A fronte di un punto di vista cinese cristallino – afferma Francesco Sisci, esperto di Estremo Oriente, editorialista di Asia Times e docente alla Renmin University of China -, e cioè noi vi offriamo la possibilità di una maggiore collaborazione con l’Italia che consideriamo il terminale della Nuova Via della Seta, l’Italia non doveva solo rispondere lo vogliamo o non lo vogliamo, ma avrebbe dovuto dire: alt un attimo, bellissima questa proposta, ma ne dobbiamo preventivamente discutere con Europa e Stati Uniti. Qui non c’è un atto palesemente ostile verso l’Europa né verso gli Usa e non ci sono dietrologie strane o complottismi strani. A emergere in questa vicenda è la palese mancanza di professionalità e di correttezza dell’Italia verso i suoi partner e alleati”.
Perché la Cina ha scelto l’Italia? C’è chi dice perché siamo comunque il Paese del G7 più debole e vulnerabile. E’ così?
La Cina ha offerto l’accordo a tutti, non ha scelto l’Italia prima di altri Paesi. L’Italia ha deciso diversamente da altri Paesi del G7 di firmarlo. Nessun privilegio a noi. L’aspetto da sottolineare, piuttosto, è un altro.
Quale?
Quante visite ci sono state in questi 50 anni, da quando sono state normalizzate le relazioni bilaterali, di leader cinesi in Italia? Questa di Xi Jinping è senz’altro quella che ha attirato le maggiori attenzioni a livello internazionale.
Per quale motivo?
Perché arriva in un momento delicato, in cui si registrano tensioni crescenti tra Cina e Stati Uniti, le più alte dal viaggio di Nixon in poi. E’ il momento peggiore tra le due potenze.
A questo punto la domanda diventa: perché in questo momento di grande tensione l’Italia ha scelto di aderire all’accordo?
Se noi credessimo che questo governo sia molto astuto, allora dovremmo pensare che sia in atto un complotto anti-americano e anti-occidentale. Io invece penso che, più modestamente, l’Italia abbia compiuto un atto di ingenuità e di sprovvedutezza. L’Italia ha deciso di firmare senza preventivamente consultarsi con gli altri partner. E temo che questo sia il segno di quanto il governo giallo-verde non conosca l’abc della politica.
Che cosa glielo fa temere?
Il fatto, per esempio, che il premier Conte, in un’audizione al Senato, abbia sostenuto che l’accordo non è giuridicamente vincolante, ma è solo un’intesa commerciale e non politica. In realtà, tutti gli accordi, anche quelli commerciali, sono politici, non c’è il “giuridicamente vincolante” in politica internazionale, perché gli accordi sono atti politici. Inoltre “non è giuridicamente vincolante” che significa? Che l’Italia lo firma, ma poi lo butta nella pattumiera?
I cinesi come vedono l’accordo?
Premesso che non entrano nel merito delle questioni interne italiane, gli accordi internazionali non sono di per sé giuridicamente vincolanti, perché non c’è il tribunale, non c’è il giudice competente. In questo caso, si va al tribunale dell’Aja? All’Onu? Se uno dei due contraenti non sta ai patti, l’accordo si rompe. Stop. Nessuno può denunciare l’altro.
La cooperazione tra Italia e Cina, come ha ricordato lo stesso Xi nel suo intervento sul Corriere, dura da molti anni. Che vantaggi ha portato finora?
La Cina si muove come una lunga marcia, come se dovesse correre la maratona: bisogna mantenere il ritmo costante. L’Italia, invece, è tarata sugli scatti: facciamo 100 metri in pochi secondi, poi però ci fermiamo per ore. Così non si vince la maratona. In questi 50 anni di rapporti bilaterali con la Cina, non è che non ci siano state occasioni o che non siano stati firmati accordi anche importanti, quello che è mancato è la capacità dell’Italia di mantenere un ritmo incrementale, che è il passo richiesto dalla Cina.
Cambierà in futuro con questo nuovo accordo?
Difficile rispondere.
La Cina potrebbe anche essere interessata a comprare debito pubblico italiano?
Anche questo tema dovrebbe essere discusso con i partner dell’Unione Europea, visto che noi facciamo parte della Ue e dell’euro. La Cina già in parte compra titoli pubblici italiani, come di altri Paesi. Per esempio, negli Usa la Cina ha comprato circa mille miliardi di dollari di debito e questo ha creato un circolo tale per cui gli americani hanno un deficit commerciale molto alto, fra i 300 e i 500 miliardi. Il problema con l’Italia è: quanto debito pubblico possono comprare i cinesi? Cosa dice l’Europa su questo? E infine: cosa significa in termini di bilancia commerciale, cioè che tipo di deficit l’Italia potrebbe sostenere nei confronti della Cina? Sono nodi tecnici, molto delicati e molto politici, che presuppongono una trattativa ampia, non solo con la stessa Cina, ma anche con Stati Uniti ed Europa. Soprattutto in questo momento storico.
Stati Uniti e Unione Europea hanno manifestato il timore che con l’accordo siano messi a repentaglio asset strategici, dai porti alle telecomunicazioni. E’ un timore fondato?
La preoccupazione non è tanto se vendere questo o quel porto sia giusto o sbagliato, ma come farlo. E non c’entra solo la golden power per il controllo, ogni Paese deve parlare con i propri partner. Quando gli Stati Uniti dialogano con la Corea del Nord, lo fanno anche con la Cina, con il Giappone, con la Corea del Sud e con la Russia. Se lo fanno gli Stati Uniti, perché non lo fa l’Italia?
Il presidente Mattarella, intervistato da alcuni media cinesi, ha chiesto che la collaborazione sia improntata alla trasparenza, sostenibilità e sicurezza degli investimenti. C’è il rischio che non sia così?
Evidentemente quando uno dice “stai attento al fuoco perché ti bruci”, vuol dire che qualche scottatura è già stata presa.
Molti analisti citano l’esempio del porto del Pireo: qui la presenza cinese è stata molto invasiva, sia come immissione di capitali sia come incidenza nella governance…
Lo ripeto: il problema non è tanto l’accordo in sé, se è positivo o negativo; il problema è come si conduce questa trattativa per arrivare all’accordo. Il mio timore personale non è tanto se vendiamo un porto. Noi – piaccia o non piaccia – siamo parte della Nato e dell’Unione Europea. E allora, o decidiamo che lasciamo sia l’una che l’altra – decisione legittima, ma a quel punto va affrontata di petto – oppure, se non vogliamo uscirne, prima di qualunque decisione bisogna consultarsi con gli altri. Questa è una scelta strategica che si sta assumendo in un momento internazionale assai delicato e quindi deve essere adottata previa consultazione e previo accordo con Usa e Ue.
Perché non è stato fatto?
Non per malizia, ma per incompetenza, credo.
I contenuti del Memorandum of Understanding con la Cina sono ancora oscuri. E’ un fatto che deve preoccupare?
In estate non si mette il cappotto, in inverno sì. Ogni momento storico richiede comportamenti diversi. Firmare un accordo oggi è ben diverso che averlo fatto solo cinque-sei anni fa. In questo momento il nostro principale alleato militare e politico è impegnato in una controversia molto dura con la Cina, e l’Italia doveva muoversi in tutt’altro modo. Se oggi non conosciamo ancora il testo del trattato, significa che forse il governo giallo-verde non sa ancora che cosa andrà a firmare.
Quanto pesano – viste dalla Cina – le divisioni su questo dossier tra Lega e M5s, alla luce anche del fatto che il vicepremier Salvini ha già fatto sapere che non sarà presente al pranzo con Xi Jinping?
Quel che mi viene da dire sulla Lega, è: come mai né Salvini né Geraci, considerato uno dei promotori di questo accordo, non si sono mossi prima nel mettere i paletti giusti?
(Marco Biscella)