C’è un grade disordine sotto il cielo. Il Regno Unito continua a subire la dissoluzione di un sistema politico unico al mondo e indicato come modello da tutti i fautori della sincronia tra stabilità governativa e ciclo economico espansivo. Il collegio uninominale, la forza di radicamento di partiti secolari, un giusto mix di antico regime (i Lords) e di democrazia parlamentare schietta e governata da un premier che è il sovrano ultimo più potente al mondo (scioglie le camere quando vuole e ha una “frusta” dei parlamentari che applica un regolamento tra i più stringenti al mondo): ecco il sogno di ogni politologo che vede nel modello Westminster l’archetipo della governabilità.
Ora tutto frana. L’Ue contribuisce da par suo allo smottamento: ha testé deciso, la Commissione, di non poter accettare lo stesso progetto con cui Theresa May si è presentata al suo soglio se il Parlamento più antico del mondo non voterà di nuovo quel progetto e nessun altro, pena un no deal… Ma la “frusta” implacabile non aveva lanciato l’allarme ai Comuni? Non aveva ricordato che non si poteva per il regolamento della Camera votare la terza volta una legge che aveva visto verificarsi un voto contrario? Il tutto sa non di un negoziato, ma di una lotta implacabile, di una ripicca, di una sorta di avviso alle nazioni che volessero seguire, abbiano o no già scelto la moneta unica, il Regno Unito. In definitiva una minaccia di chissà quali reprimende e sabotaggi.
Ma per fortuna delle persone semplici che vivono del loro lavoro diuturno, i cosiddetti mercati, non danno segni di nervosismo: la sindrome giapponese in cui sprofonda l’Europa con i suoi bassi salari, la caduta del tasso di profitto, i tassi di interesse poco sotto lo zero quando non sono sopra di un punto e dunque gli investitori alla caccia dei Bund tedeschi che ispirano una stabilità che sa di recessione tedesca, fatto che sarebbe terribile. La Banca d’Inghilterra è governata in modo magistrale da una tecnostruttura straordinaria che dopo Mervin King ha trovato dei degni successori e quindi l’economia del Regno Unito regge benissimo all’urto delle fake news e delle maldicenze e si avvia e rinverdire i fasti di una crescita che sarà prossima. L’Europa invece si divide sempre più e questo è un pericolo tremendo perché da una disgregazione incontrollata non può che venirne una catastrofe.
Le rivalità nazionali sono acuite dall’offensiva di una Cina in grave recessione e in un disordine politico sempre più accentuato e che cerca, con il suo gruppo dirigente alla cuspide, di sfruttare le rivalità europee per ampliare il suo potere di penetrazione. L’Italia è in prima fila in questo sgretolamento proprio provocandole, quelle rivalità intra-nazionali che non fanno bene a nessuno, essendo la prima nazione dei G7 che stringe non un accordo commerciale, ma, di fatto, politico con la Cina non meditando sulla ritirata dalla cosiddetta Via della Seta delle nazioni del Sud-Est asiatico e di molti Stati africani che iniziano a voler sfuggire dall’imperialismo da debito cinese.
È una storia lunga, quella dei rapporti italo-cinesi, iniziata da un grande democristiano come Vittorino Colombo con l’Istituto Italia-Cina che svolse e svolge un ruolo altissimo per le imprese italiane (con la presidenza di Mario Boselli), facendo commercio e relazioni culturali e mai sostituendosi alla diplomazia di carriera. Per mutare poi, con la divisione dell’Istituto, in tutt’altro senso, non a caso con la sconfitta del gruppo di potere politico ed economico stretto attorno a Deng Xiaoping, quando ai riformatori succedettero gli attuali detentori del potere: i neo maoisti di Xi Jinping, che hanno gettato nel caos la Cina con campagne di terrorismo intra-burocratico e decimazione del gruppo dirigente dell’esercito sino a intaccare gli stessi servizi segreti con le epurazioni di massa di dirigenti sperimentati ch’erano riusciti a superare la terribile prova della rivoluzione culturale.
Quando sarebbe il tempo dell’unità tra le nazioni europee e di un volto unico da presentare all’attivismo geopolitico cinese, si perde la bussola e il lavorio di soft power fatto nelle classi politiche ed economiche vendidore sale a galla; e così giungiamo alla situazione attuale, quando non si commercia soltanto più, ma si rischia di rompere alleanze essenziali per il nostro interesse prevalente (come avrebbe detto Dino Grandi), schierandosi di fatto in polemica con gli Usa.
Gli Usa che sono alla ricerca non di un riequilibrio commerciale con la Cina, ma di un riequilibrio di potenza e quindi hanno bisogno di ricostruire, dopo decenni di folle unilateralismo, una entente cordiale di tutto l’Occidente contro il neo-imperialismo cinese. L’Europa dovrebbe essere l’antemurale di questa nuova guerra fredda e invece è il ventre molle in cui affondare il coltello delle divisioni intra-nazionali, esercizio neo-imperiale in cui il gruppo dirigente cinese neo-maoista è esperto.
Certo anche gli inglesi, le classi politiche inglesi, hanno fatto tutto il possibile per alimentare il disordine sotto il cielo, invocando da un lato l’anglosfera e dall’altro accogliendo anni or sono Xi Jinping come un imperatore. Quale è. Ma sappiamo la fine che in Cina, nell’Impero di Mezzo, hanno sempre fatto gli imperatori.