“Ma con questi che cosa ci stiamo ancora a fare?”: questa domanda, attribuita dai retroscena al ministro Giulia Bongiorno, è il termometro del malessere che dilaga fra le file salviniane. Leghisti contro grillini, la tensione torna a salire sino al livello di guardia, a poche settimane dallo scontro sulla Tav.
Sul memorandum firmato con la Cina è andato in scena uno scontro un po’ surreale, visto che l’intesa, che è stata sostenuta a spada tratta da Di Maio e osteggiata da Salvini, ha avuto come negoziatore principale per parte italiana il sottosegretario Michele Geraci, eletto nelle file della Lega.
Il gelo di Salvini è stato espresso in modo evidente con l’assenza da Roma e quindi da ogni impegno ufficiale, compresa la cena di gala al Quirinale offerta da Mattarella a Xi Jinping. Il “non mi si dica che in Cina c’è libero mercato” sibilato dal capo leghista è stata come una scudisciata all’alleato, che ha replicato con un poco gentile “lui ha il diritto di parlare, mentre io ho il dovere di fare i fatti”. La verità, però, è che Salvini è parso dare voce alle perplessità americane rispetto all’intesa con la Cina. Per fortuna di Di Maio Mattarella si è incaricato di piantare robusti paletti in materia di reciprocità degli accordi, difesa dell’ambiente e diritti umani. Paletti naturalmente bene accolti dal capo legista.
Ancora una volta emergono visioni antitetiche del mondo, delle alleanze del paese, delle prospettive di sviluppo. E si avvicinano altre scadenze destinate a fare allontanare ancora di più le posizioni degli alleati. La prima è il 10 aprile, dato entro cui deve (o almeno dovrebbe) essere presentato il Def, il documento che deve indicare la rotta di un paese che deve trovare almeno 23 miliardi per evitare che nel 2020 scatti un pesantissimo aumento automatico delle aliquote Iva. E con Salvini che promette pubblicamente alla Confcommercio che non vi sarà alcun aumento dell’Iva la partita si presenta tutta in salita.
Tra i contraenti del contratto di governo le ragioni di diffidenza si accumulano, come si è visto nei giorni scorsi con l’azione concentrica di diversi esponenti grillini per inserirsi nel tema sicurezza. Per gli uomini del Carroccio un’ingerenza bella e buona nel terreno di caccia esclusivo del ministro dell’Interno. Anche sulla Tav la tregua degli equivoci siglata nelle scorse settimane rischia di essere di brevissima durata, visto con quanta crudezza il presidente francese Macron ha spiegato a Conte di non aver tempo da perdere, essendoci un trattato fra i due paesi che va rispettato. Insomma, la Tav è un problema italo-italiano, e anche la ridiscussione dei costi dell’opera richiesta dal nostro premier rischia di produrre risultati modestissimi. Prima o poi il governo verrà costretto dall’esterno a uscire dall’ambiguità.
In ogni caso anche l’attivismo di Conte degli ultimi giorni su molti tavoli ha suscitato più di un sospetto in casa leghista. E’ stato visto come un disperato tentativo dei 5 Stelle di uscire dall’angolo, anche se l’ipotesi di una “Lista Conte” da affiancare al Movimento è stata esclusa tanto dall’interessato, quanto dallo stato maggiore pentastellato.
Resta un soggetto politico in profonda crisi, e la conseguente paura dei leghisti di essere trascinati a fondo dalla crisi grillina. Il punto debole è Roma, con le indagini sulla giunta Raggi che si allargano a macchia d’olio, ultimo l’amministratore delegato della potente azienda elettrica, l’Acea, Stefano Donnarumma. Dopo l’arresto di De Vito e l’indagine su Frongia piove sul bagnato e si apre nel mondo a 5 Stelle una questione morale grande come una casa, che potrebbe spaccare il Movimento.
Oggi in Basilicata si vota per le regionali. E’ l’ultimo test locale prima delle europee del 26 maggio. Se la fotografia che verrà restituita dalle urne sarà simile a quelle di Abruzzo e Sardegna per Di Maio saranno dolori. Un centrodestra unito competitivo e vincente, un sorpasso dei democratici in ripresa e M5s desolatamente terzo in una terra in cui solo un anno fa aveva avuto il 45% aprirebbero una crisi che potrebbe mettere in discussione la leadership stessa di Di Maio. E minare ancor di più la convivenza con la Lega al governo. A volerla tirare troppo la corda prima o poi si spezza. Prima o, più probabilmente, dopo le europee.
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