Che a Londra sia in corso un “colpo di Stato” lo affermava ieri mattina l’apertura del sito del Financial Times: “Theresa May faces UK cabinet coup”. Di più: i ministri del governo conservatore, auto-impantanati da due anni su Brexit, “stanno prendendo in considerazione la designazione di un leader provvisorio”. In termini non diversi la stessa stampa londinese descriveva nel secolo scorso un pronunciamento militare in Sud America o commenta oggi un cambio di regime in Africa. La novità – certamente – è che oggi le piazze in tumulto, assetate di putsch attorno al “palazzo del governo”, sono quelle di Londra e di Parigi, dove sabato Emmanuel Macron ha schierato l’esercito contro i gilet jaunes. Non sono più quelle di Kiev o del Cairo, oppure di Pechino. Per non parlare di Monaco o Roma un secolo fa. Oppure di San Pietroburgo, qualche anno prima. 



Non sempre le cose cambiano, d’altronde, neppure quando moti e colpi di forza agitano i sistemi non liberaldemocratici. O meglio: non cambiano mai o quasi come promettono i format mediatici, peraltro mai immuni da sospetti manipolativi. In Egitto, ad esempio, piazza Tahrir ha portato “democraticamente” al potere i Fratelli musulmani, ma tutto è tornato rapidamente come prima. Gli Usa di Obama e Hillary Clinton hanno verificato sulla loro pelle la distanza rischiosa fra la realtà e lo storytelling politicamente corretto delle “primavere arabe”. E hanno precipitosamente reinstallato al Cairo una “democrazia autoritaria”, modello ben sperimentato nel cortile di casa latino-americano.



In Ucraina il copione reale è stato diverso, ma non gli esiti: l’“export di democrazia” – finalizzato a portare i missili Nato alle frontiere russe – ha bruciato a ripetizione leader “eletti” da piazza Majdan sotto le telecamere Cnn  e ha infine provocato la reazione militare della Russia di Putin. Difficilmente, comunque, l’opinione pubblica occidentale è disposta oggi a distinguere in modo netto “buoni” e “cattivi” sulle rive del Dniepr. Sono invece sempre più forti le spinte contrarie alle sanzioni commerciali applicate a Mosca per difendere la “democrazia” di Kiev.   



Per paradosso, “l’uomo solo contro il carro armato” a Tien-an-men ha generato conseguenze enormemente superiori: ma sicuramente non quelle che si auguravano il Manifestante Ignoto o i grandi media americani od europei. Nel 1989 il Pil pro-capite cinese era 310 dollari (in Italia era a quota 16.300): nel 2017 lo stesso valore è aumentato di 28 volte in Cina, mentre in Italia è solo raddoppiato ed è in declino da un decennio. Il presidente cinese Xi Jinping – in visita in Italia nell’ultimo fine settimana – resta certamente un paramount leader: successore solo più tecnocratico di Mao Zedong e Den Xiaoping, che nel secolo scorso hanno riassemblato le macerie di un impero di principi feudali e mandarini.  Lo sviluppo economico e tecnologico cinese – rigorosamente fuori da ogni tradizione politico-economica liberaldemocratica – è emerso nel frattempo come una sfida storica di portata millenaria. Per quanto icastico ed evocativo, il “format Tien-an-men” – pur ossessivamente riproposto – non ha stroncato sul nascere le Grandi Modernizzazioni del Dragone; né lo ha spinto in direzione di una maggior liberalizzazione politica interna.             

Trent’anni dopo è invece Londra che ha preso a bruciare e i media inquadrano la sue piazza con gli standard narrativi consueti (una “folla” – tendenzialmente di “giovani” – contro un “potere” descritto come ottuso e inetto, quindi “da abbattere”). Nelle piazze londinesi, tuttavia, non decapitano più monarchi dal 1649 e da allora il Regno Unito si fregia – non a torto – del titolo di più antica democrazia del mondo. “Il peggior sistema al mondo salvo tutti gli altri” secondo Winston Churchill, il vincitore di Hitler. Una democrazia talmente forte da non aver bisogno né di una costituzione scritta e neppure di un capo di Stato. Eppure di questa democrazia la piazza di Londra vorrebbe oggi sovvertire, “correggere” un momento fisiologico fra tanti: il referendum su Brexit del giugno 2016 (17 milioni pro Leave contro 16 milioni pro-Remain). La piazza vuol cacciare un premier che da due anni sta esercitando il suo ruolo – democraticamente assunto e sempre riportando al Parlamento sovrano – per dare esecuzione a un mandato democratico espresso nelle urne. E chi osserva con soddisfazione i cortei e attende con impazienza il “colpo di Stato” è la gazzetta dei banchieri della City. 

“Siamo stati i primi a farci infettare dal populismo, dobbiamo essere i primi a tornare indietro”. Non sappiamo se questo slogan – ripreso con risalto sulla prima pagina di Repubblica – sia stato davvero strillato dai manifestanti anti-Brexit. Sicuramente non è improprio – con un gioco intellettuale in stile Oxbridge – sostituire una parola e osservare l’effetto: “Siamo stati i primi a farci convincere dalla democrazia, possiamo essere i primi a superarla”. Verso dove? What next? 

Mostrare fastidio per la democrazia è “fascismo”, avvertiva ieri – sempre a medesima prima di Repubblica – il fondatore Eugenio Scalfari. Chissà cosa ne pensano al Financial Times.