“M5s ha esaurito la sua spinta propulsiva – dice Fabrizio d’Esposito, giornalista politico del Fatto Quotidiano, commentando la sconfitta dei 5 Stelle in Basilicata -. Il governo ha fatto bene solo alla Lega. In M5s speravano che il reddito di cittadinanza potesse determinare un’inversione di tendenza, invece questo non è accaduto”.



Sono gli effetti collaterali del populismo?

Sì. Quando chi governa genera delle aspettative, la gente vuole vederle subito realizzate.

Ieri Di Maio ha chiesto all’alleato un “chiarimento”.

Non sappiamo cosa porterà. Di certo è la conferma che il voto in Basilicata ha una valenza nazionale.

Partiamo dai voti di Salvini. La Lega ottiene il 19,1%, il centrodestra il 42,2%. M5s si ferma al 20,3%. Alle politiche aveva ottenuto il 44,3% alla Camera.



Nelle regionali che si sono susseguite da 4 marzo a oggi Salvini ha raddoppiato o triplicato i voti. Abruzzo, Sardegna, Basilicata hanno risultati troppo simili per non essere considerati un trend. Non sappiamo se viceversa il calo nazionale di M5s inchioderà i 5 Stelle al 20%, però il dato è indiscutibile.

A cosa lo attribuisci?

Andare al governo e fare i conti con la realtà ha penalizzato il Movimento. Dallo “spazzacorrotti” a quota 100 (voluta da entrambi i partiti, ndr), dalle iniziative di riforma costituzionale al reddito di cittadinanza, M5s ha realizzato più della Lega, però i provvedimenti, soprattutto il reddito, non hanno avuto l’effetto moltiplicatore sperato.



Cosa intendi per “fare i conti con la realtà”?

Finché sei all’opposizione puoi gridare onestà-onestà, fare promesse, scagliarti conto i disastri ambientali, ma una volta al governo devi prendere decisioni impopolari, fare compromessi.

Di Maio intende dare al Movimento una organizzazione più solida, anche e soprattutto a livello locale. È la strada giusta?

È giustissima, perché i partiti non sono una realtà da demonizzare, anzi il loro ruolo è riconosciuto dalla Costituzione. Ma il punto non è solo questo. M5s non ha saputo contenere la cannibalizzazione di Salvini. In più ha infranto alcuni tabù, come quelli su Tap e Ilva, ribaltando le promesse iniziali.

Ci saranno conseguenze?

Temo di sì. In Puglia vedremo un crollo dei 5 Stelle alle europee. In più il no a processare Salvini nello stesso giorno in cui arrestano un esponente di rilievo di M5s, Marcello De Vito, nei fatti è una nemesi enorme.

Hai parlato di “cannibalizzazione” da parte di Salvini. È una strategia o un esito dell’azione di governo?

No, è un processo di selezione darwiniana delle leadership. Salvini e Di Maio hanno cominciato questo governo appaiati, come vicepremier, alla fine la competizione ha premiato Salvini e sbaragliato Di Maio.

E Giuseppe Conte?

Può darsi che la vera risorsa per i 5 Stelle non siano né Di Maio né Di Battista ma sia proprio Conte, che nei sondaggi di gradimento è l’unico che può competere con Salvini.

Ha ragione chi, come Paragone, dice che è stato un errore accantonare Di Battista e che occorre “cambiare tutto”, fino a mettere in discussione la permanenza al governo?

A questo punto credo che tutti i ragionamenti siano ormai tardivi. Ha poco senso anche appellarsi a Di Battista, che in Abruzzo è sceso in campo ma non ha spostato un voto. Quando sei al governo, arruolare Che Guevara ha poco senso.

Ma M5s può ancora salvarsi o no?

Si salva se inverte la tendenza in termini di risultati nell’azione di governo. Deve realizzare di più quello che ha promesso, dimostrando di essere padrone della situazione come ha fatto Salvini, il quale, va detto, deve gran parte del suo successo alla propaganda e allo stop ai migranti. Però il tempo è poco, cambiare rotta in queste nove settimane che ci separano dalle europee mi sembra quasi impossibile.

Se il voto europeo fosse nettamente favorevole alla Lega e sfavorevole a M5s, farebbe saltare il governo?

Io sono convinto che nell’ultima settimana Salvini abbia cominciato a pensare al piano B per rompere, perché il gioco di prendere voti dai due forni, quello di Forza Italia e quello di M5s, non può continuare all’infinito. In ogni caso finirà il 26 maggio.

La tua previsione?

Tutto può succedere, anche che questo governo continui. Mettiamo però il caso che M5s esca dal voto europeo con il 22% e la Lega con il 32%: i rapporti di forza sarebbero ribaltati e non trarne le conseguenze politiche sarebbe deleterio in termini di consenso. Senza dimenticare che al Nord la spinta contro M5s nell’elettorato e nei poteri che sono vicini alla Lega è molto forte. 

L’autonomia ha davvero il potere deflagrante che le viene attribuito nella Lega, per esempio da Zaia? O si fa o tutti a casa?

Da qui alle europee non si farà nessuna autonomia, saranno fatti solo degli annunci. Fino al 26 maggio tutto sarà bloccato.

Il voto europeo sarà dirimente anche dentro il centrodestra?

Sì, perché come dimostrano le Regioni dove si è votato, Salvini vince ma non sfonda. Egemonizza, ma vale la metà dell’intero centrodestra, che attualmente vince per inerzia. Una situazione di equilibrio che a mio modo di vedere non può durare.

Qualcuno, come Veltroni, dice che sta tornando il bipolarismo: è vero?

No, perché con il Rosatellum se anche M5s avesse il 20% la sua quota impedirebbe al centrosinistra di battere il centrodestra nei collegi. Siamo ancora in un’Italia tripolare.

In Basilicata il Pd non ha voluto farsi contare, si è mimetizzato in un listone di centrosinistra. È una strategia più generale?

È la stessa già collaudata da Legnini in Abruzzo: il problema principale di Zingaretti da qui a maggio sarà come nascondere il simbolo del Pd in una coalizione. Con un rischio: gli elettori delle liste civiche che hanno appoggiato Legnini, Zedda e Trerotola, il 26 maggio cosa faranno? La risposta secondo me non è scontata e il listone Pd resta un’incognita.

Per quale motivo?

Perché le europee saranno anche un referendum pro o contro Salvini. Un elettore di centrosinistra o di sinistra che volesse votare contro Salvini, ha bisogno di sapere che il suo voto fa massa critica nel partito di opposizione più grande. Ma qual è questo partito?

In futuro vedi un ritorno di fiamma tra Pd ed M5s? “Mai pensato a un’alleanza con M5s” ha detto Zingaretti.

Invece è proprio quello che vuol fare. Zingaretti ha rinunciato a fare da stampella a Di Maio da qui alle europee, ma il suo interesse è aprire una nuova fase di interlocuzione dopo che il voto avrà dimensionato le due forze, magari con il Pd intorno al 20-21% e con M5s al 22-23%. Inoltre ha detto che il suo nemico è la Lega. E la conferma dell’operazione è arrivata anche da Veltroni.

Perché Veltroni?

Nella sua ultima intervista a Repubblica ha detto che stiamo tornando al bipolarismo e i 5 Stelle dovranno dire con chi stanno. Bipolarismo a parte, se dici una cosa del genere vuol dire che metti in conto di allearti proprio con M5s.

Un M5s senza Di Maio.

Sì, ovviamente, perché è l’uomo che ha governato con Salvini.

(Federico Ferraù)

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