La Nuova Via della Seta, di cui si fa un gran parlare, riporta alla mente il secolo breve, le sue contraddizioni, i suoi scontri e l’infinita e mai sopita disputa per l’egemonia culturale (e non solo) tra Oriente e Occidente.

Molte le similitudini, ma due in particolare (ovviamente, riviste e attualizzate) sembrano dare l’esatta cifra dell’operazione portata avanti da Pechino: il piano Marshall e la disputa per la conquista dello spazio negli anni Sessanta.



A ben guardare, l’ambizioso piano infrastrutturale e di collegamenti ideato e fermamente perseguito a suon di miliardi di dollari dal presidente cinese Xi Jinping ha le sembianze (neppure troppo velate) di un vero e proprio piano Marshall, non rivolto a un singolo Paese, bensì all’intera Europa meridionale.

Un progetto strategico che, come nel caso degli aiuti Usa (l’Italia poté rifiorire grazie alle finanze d’oltre Atlantico e Washington si stabilì con proprie basi militari alle porte del blocco russo), unisce due convenienze: nuovo ruolo politico e, soprattutto, nuova linfa per l’economia dei Paesi europei affacciati sul Mediterraneo, fiaccati da una crisi ancora pressante, e la possibilità, da parte cinese, di guadagnarsi la fiducia (porta d’ingresso per ogni altro obiettivo) del Vecchio e ricchissimo continente.



Un do ut des che, come accadde nel dopoguerra, non potrà non avere risvolti importanti, seppure estremamente graduali e non necessariamente nefasti sull’intero scacchiere geopolitico globale. Niente di nuovo sotto il sole!

Ma la sfida che si sta consumando tra Usa e Cina riporta alla mente, proprio nell’anno del cinquantesimo anniversario dell’allunaggio di Neil Armstrong e Buzz Aldrin, un’altra sfida affrontata fino all’ultimo dollaro: la corsa allo spazio. Dopo una guerra lancinante che aveva lasciato sul campo strascichi negativi per tutti – vinti ma anche vincitori -, la conquista dello spazio rappresentava la sfida per la supremazia del mondo in campo scientifico, militare, politico, economico e anche culturale.



La conquista dell’etere torna incredibilmente d’attualità. E ancora una volta la supremazia sulla terra si gioca nel cielo. La posta in palio sono le infrastrutture materiali e immateriali: i porti certamente, ma anche, e soprattutto, le interconnessioni e le comunicazioni, cioè i veri approdi dell’economia globalizzata.

Un messaggio molto ben recepito dalla Casa Bianca, che per conquistare tempo (lo stesso accadde nei primi anni Sessanta dopo le missioni Soyuz) avanza proposte di accordo diretto Usa-Cina, rinnegando – nei fatti – la politica delle sanzioni, dei dazi e delle ritorsioni contro Pechino.

Ma se, allora, la politica americana riuscì a ribaltare il gap tecnologico grazie all’umiltà e all’enorme sforzo finanziario, oggi gli Stati Uniti sembrano smarriti, attoniti di fronte alla potenza di fuoco economico che la Cina è in grado di mettere in campo per una sfida che appare principalmente culturale, come fu quella americana contro il comunismo.

E come allora il miraggio dell’imperialistica autosufficienza russa affamò mezzo pianeta e sgretolò il “muro della vergogna”, oggi gli strumenti del mercato potrebbero rivelarsi il cavallo di Troia della globalizzazione e archiviare il capitalismo come realizzato in Occidente.