Il dirottamento del mercantile turco El Hiblu 1 da parte dei migranti recuperati mercoledì a 6 miglia dalla Libia assume contorni e conseguenze tutte ancora da interpretare. Quanto accaduto a bordo della nave ha indotto Malta ad intervenire con la forza militare, facendo attraccare il mercantile alla Valletta e arrestando tre dei 108 migranti imbarcati. Nella giornata di ieri l’ambasciatrice maltese a Roma è stato ricevuta al ministero dell’Interno, che in un comunicato ha parlato di “una nuova fase di collaborazione tra i due Paesi” nel contrasto all’immigrazione clandestina. “Dirottatori per necessità”, ha titolato ieri L’Osservatore Romano, organo di stampa della Santa Sede. “Una posizione rischiosa – osserva Paolo Quercia, esperto di politica estera e questioni strategiche, fondatore e direttore del Cenass -. In questo modo si vuole sostenere che esiste un diritto non solo ad essere salvati ma anche ad essere sbarcati in Europa, e che tale diritto può essere esercitato anche con la forza”.
Ieri il ministero dell’Interno ha parlato della nascita di “un asse anti-clandestini” Italia-Malta. Come commenta?
Mi sembra presto per parlare di una linea comune tra Malta e Italia. L’evento di cui stiamo discutendo in questi giorni ha un carattere di eccezionalità, che non necessariamente implica un cambiamento di strategia da parte di Malta.
In teoria Malta e l’Italia avrebbero molti punti di interessi comuni sulla questione migratoria.
Sì, ma dobbiamo capire che le questioni dell’immigrazione clandestina, molto visibili e mediatizzate, rappresentano solo una delle tante dimensioni strategiche nelle partite che si stanno giocando nel Mediterraneo centrale ed attorno ad esso. E dunque gli interessi di due Stati del Mediterraneo centrale come Italia e Malta possono anche divergere. O quanto meno, farli convergere necessità di una buona dose si sforzi politici e diplomatici.
Tutto questo ci riporta al caso del mercantile dirottato mercoledì a 6 miglia dalle coste libiche. Siamo di fronte ad una novità.
È un caso di studio interessante che si presta a molte considerazioni. Però bisogna dire che è ancora un caso confuso. In realtà non sappiamo bene di che tipo di violenza l’equipaggio del mercantile turco è stato fatto oggetto, né se ci sono state forme di complicità da parte dell’equipaggio stesso. In passato ci sono stati casi sospetti di “dirottamenti” invocati per entrare nelle acque Ue e poi ridimensionati all’arrivo.
Se fosse stato un dirottamento vero e proprio, con un uso importante della violenza?
Questo cambierebbe le regole del gioco. Resta però un particolare importante: nella stessa operazione di salvataggio che ha visto coinvolto il mercantile El Hiblu 1, un altro gruppo altrettanto numeroso di migranti è stato salvato da una motovedetta della Guardia costiera libica e sono stati ricondotti in Libia senza problemi; al contrario quelli salvati dal mercantile turco si sono ammutinati e sono finiti nella Ue.
Quali considerazioni si possono fare su questo punto?
Mi chiedo se il mezzo di salvataggio usato nelle operazioni Sar nella acque libiche influenzi in un certo modo il comportamento delle persone che vengono portate a bordo o quello dei trafficanti che li avviano verso il naufragio programmato. È ormai chiaro che a seconda del mezzo impiegato nel soccorso si creano, salvataggio in mare a parte che resta fattore comune a tutti gli interventi, esiti ed approdi diversi e dunque profitti diversi per i trafficanti.
E che cosa viene a dipendere da questa differenza?
È una diversificazione che può spingere i migranti o forse gli stessi trafficanti a cercare un determinato tipo di salvataggio e non un altro. Ad oggi, il dirottamento di un mercantile appare essere una delle vie più probabili per arrivare in Europa.
Sulla vicenda del mercantile El Hiblu 1 L’Osservatore Romano ha titolato: “Dirottatori per necessità”. Il titolo è più forte dell’articolo, che in modo oggettivo menziona l’attività dei “trafficanti”. Che cosa ne pensa?
Riflette proprio quest’ultimo concetto che menzionavo. Il titolo è ardito, è vero. Ma ormai il giornalismo di oggi ci ha abituato a tutto. Stupisce leggerlo su un giornale normalmente equilibrato come l’Osservatore. Ovviamente in questo modo si vuole sostenere la posizione che esiste un diritto non solo ad essere salvati ma anche ad essere sbarcati in Europa, e che tale diritto può essere esercitato anche con la forza.
Trova che questa posizione sottenda dei rischi?
Sì, molti. Uno su tutti quello di mettere in cortocircuito il concetto stesso di naufrago e quello dell’obbligo del soccorso in mare su cui è stata eretta una scricchiolante costruzione giuridica. Se il naufrago nell’arco di poche ore usa la forza contro il suo salvatore, c’è il sospetto che il salvataggio sia una finzione. Questo modificarsi dei ruoli troppo velocemente, come in un gioco delle tre carte, non mi sembra utile a nessuno. Ricordiamoci che siamo in situazioni estremamente pericolose, sia per le vite dei migranti che per la sicurezza degli Stati.
Con quali possibili sviluppi?
Se le navi mercantili smettono di rispondere ai salvataggi in mare temendo un pericolo per la propria sicurezza, come l’ammiraglio Caffio ci ricorda che è possibile fare a norma del diritto del mare, ecco che i migranti ed i naufraghi sarebbero i primi a pagarne un prezzo.
(Federico Ferraù)