Da Madrid scopri ogni volta che ciò che colpisce degli italiani prima che dell’Italia è la grande capacità di pensar male di se stessi e di far di questa antropologia negativa un sistema. La Spagna non ha oggi un Governo se non minoritario e i quotidiani, in primis quelli economici, non fanno mistero di scrivere – tramite interviste mirate oppure articoli di analisti poco economici oppure molto economici oppure ancora per nulla economici – che il miglior governo per la Spagna dovrebbe essere una coalizione tra Psoe e Ciudadanos, purché Sánchez, attuale segretario dello stesso Psoe, si dimetta. Tutto con quella calma tranquilla con cui parlano della tragedia dello spopolamento della Spagna rurale e dell’intransigenza indipendentista che dalla Catalogna dilaga ormai ovunque per il labirinto spagnolo di cui parlava Brennan nei suoi fantastici libri degli anni Quaranta del Novecento: dalla Andalusia alla Galizia con dimostrazioni di massa dinanzi al Parlamento a due passi dal nostro vecchissimo albergo sfigurato dai mostri delle pinturas negras di Goya che ora dai quadri sono discesi nelle strade.



L’Italia racconta con voluttà ciò che essa stessa è. Non sa fingere come accade qui in Spagna. Anzi, costruisce con voluttà la sua rovina, come con l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta (sic) sulle banche che non potrà che produrre né verità, né giustizia, ma solo rancore, discredito, odio e conflitto politico di cui non abbiamo nessun bisogno. La difesa delle banche è il primo dovere di qualsivoglia Governo. I guasti ivi prodottisi hanno di già i meccanici indipendenti o no ch’essi siano: le banche centrali europea e nazionali. Se vi è da riformare, mai farlo in corso d’opera.



Il dibattito su questo tema sollevato dalle manovre in corso tra Sabadell e Bankia qui in Spagna per un’eventuale fusione è durato un giorno, poi giustamente si è spento. Stupore forte è scaturito qui a Madrid dalle questioni sino-italiche: non si è capito perché, se tanto importante era l’accordo con Xi Jinping, l’Italia non abbia partecipato all’incontro di Parigi. Uno dei giornali d’affari più letti dalla comunità economica madrilena è zeppo di resoconti di accordi imprenditoriali di ogni genere, ma gli articoli di policy son rarissimi e ci si guarda bene da visioni geopolitiche di sorta.

Da qui stupisce un’altra stucchevole polemica, quella sull’ipotesi che si debba far deficit italiano con il non aumento dell’Iva e con il reddito di cittadinanza oppure si debba ricorre agli investimenti pubblici piuttosto che alla flat tax, dimenticando che la teoria della finanza pubblica contiene in sé, come ci ricordavano Giovanni Montemartini e Luigi Cossa, anche una teoria dell’impresa pubblica e che la tastiera dunque dell’imposta e delle sue articolate manifestazioni è un’indicazione potente per agire con più strumenti: il vettore della contabilità prima che del bilancio dello Stato scaturisce da un parallelogramma di forze e non da un solo vettore, pena la caduta dell’entropia.

Sì, all’entropia si pensa quando ci si concede un po’ di assenza dalla pena di esistere tutta italiana. Noi abbiamo ogni giorno una sorta di Brexit: dal buon senso, dalla ragione… forse in definitiva dall’amor di Patria.