Questa settimana qualcuno nel governo sembra destinato a perdere la faccia. O Di Maio, o Salvini, oppure tutti e due. La tattica di rinviare le decisioni sembra non poter essere applicata alla Tav Torino-Lione. La decisione italiana sull’opera viene annunciata per imminente, non procrastinabile a dopo le elezioni europee.



Per i 5 Stelle la questione è vitale. Persino Beppe Grillo e Davide Casaleggio sono scesi in campo per mettere pressione addosso a Luigi Di Maio. No Tav è la battaglia storica dei pentastellati non solo piemontesi. E a livello nazionale il Movimento ha dovuto già digerire bocconi amari come il gasdotto Tap o l’Ilva di Taranto: le promesse di stoppare tutto una volta giunti al governo si sono sfracellate contro un groviglio di impegni assunti, di trattati internazionali e di penali da pagare nel caso di interruzione dei progetti. La Torino-Lione appare come l’ultima trincea di un M5s che appare sempre più isolato, dal momento che, oltre ai movimenti della Val Susa, sulle posizioni no Tav solo a sinistra, dalle parti di Leu, c’è qualcuno che condivide.



Con Salvini sulla barricata dei favorevoli sono invece in tantissimi: in parlamento Forza Italia, Fratelli d’Italia e Pd, fuori la stragrande maggioranza delle forze economiche, Confindustria in testa, e pure il presidente francese Macron, che probabilmente ha concesso un’intervista a Fabio Fazio proprio per gettare il suo peso politico (e gli impegni internazionali assunti liberamente dal nostro paese) sul piatto della bilancia dei favorevoli. Anche Mattarella sembra spingere sulla necessità di opere utili allo sviluppo quando parla di necessità di saper progettare il futuro. Sulla Lega la pressione è quindi fortissima, cedere ai grillini sarebbe esiziale.



La decisione sulla Tav potrebbe diventare la miccia che fa detonare una situazione già esplosiva di suo. Fra Di Maio e Salvini sembra cominciato il gioco del cerino, con il leghista che ripete da giorni, come un mantra, che una soluzione si troverà con Di Maio e Conte, chiosando però che la linea va realizzata, magari con un progetto ridimensionato, la cosiddetta mini-Tav, già bocciata da Palazzo Chigi.

Davvero si può rompere il patto di governo sulla Tav? L’ipotesi non è da escludere del tutto, visto che la linea ferroviaria è solo l’ultimo grano di un rosario di problemi che si stanno accumulando uno dopo l’altro. Delicatissimo è il nodo dell’autonomia differenziata reclamata da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, battaglia storica del Carroccio. Ma nei prossimi giorni si discuterà accanitamente anche di legittima difesa, altra priorità salviniana, mentre si avvieranno le domande per il reddito di cittadinanza con il rischio che la macchina burocratica faccia un clamoroso flop, che per i grillini equivarrebbe a una débâcle. E’ quella, praticamente, l’unica carta in mano a Di Maio e soci per risalire la china del consenso.

Si tenga presente poi che il quadro politico non potrà che avere un’accelerazione dalla netta affermazione che Nicola Zingaretti ha riportato alle primarie del Pd. A un anno esatto dalle elezioni politiche è probabilmente il segnale che un’opposizione degna di questo nome si sta riorganizzando nel paese. E proprio sulla Tav il dem Chiamparino è pronto a trasformare le elezioni regionali piemontesi che si svolgeranno in contemporanea con le europee in un autentico referendum, quando non in una consultazione referendaria vera e propria (con la Lombardia a trazione leghista già pronta ad associarsi). Uno scenario che non può certo apparire gradito a Salvini, che già deve fare i conti con l’insofferenza del Triveneto, che ha il suo capofila in Luca Zaia.

Zingaretti, per di più, fra i tre contendenti alla guida del Pd è sembrato sin dall’inizio il più movimentista, pronto anche a dialogare con alcuni settori grillini. Ipotesi di alleanze il governatore del Lazio le ha ufficialmente smentite con forza, ma che il Pd sia pronto a rimettersi in moto, pur con tutti i suoi problemi interni, sembra più che plausibile. 

Saranno giorni delicatissimi, i prossimi, quindi. Resta però l’incognita di chi si scotterà rimanendo con il cerino in mano. Perché chi si assumerà la responsabilità della rottura non c’è dubbio che pagherà un prezzo politico.

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