Nel Pd è cominciata l’era Zingaretti. Il governatore del Lazio, forte del 66 per cento dei consensi incassati alle primarie, sta già facendo il segretario del partito: ieri ha incontrato Chiamparino, ha detto niente giochi con M5s e, sondaggi alla mano, si prepara a sfidare i 5 Stelle. “Ma il Pd da solo fa poca strada – dice il politologo Gianfranco Pasquino –, ha bisogno di raggiungere quel tessuto sociale che Prodi riuscì a raggiungere con l’Ulivo”. Più che proporsi di far cadere il governo, secondo Pasquino il neosegretario deve lavorare in vista delle regionali e delle europee.



Con Zingaretti avremo un Pd più spostato a sinistra?

Più a sinistra delle gestione renziana, ma a sinistra-sinistra no. Lì c’è uno spazio occupato in parte da Sinistra italiana, in parte da Liberi e Uguali, in parte da Potere al popolo; sono raggruppamenti destinati a durare, a meno che il Pd non faccia una politica come la loro. Ne dubito.



Ma il dna di Zingaretti qual è?

E’ un politico di centro-sinistra che ha dimostrato capacità di governo come governatore del Lazio e una buona capacità attrattiva.

La prima mossa è stata quella di incontrare il governatore del Piemonte Chiamparino, in prima linea nel volere la Tav. Una scelta giusta?

Sì, perché Chiamparino si è molto esposto e ha bisogno del sostegno del suo partito, se vuole vincere le regionali di fine maggio. Inoltre sulla Tav i 5 Stelle stanno dimostrando profonde contraddizioni che immagino si trovino anche nel loro elettorato, un elettorato che il Pd deve darsi come obiettivo di riconquistare.



Secondo alcuni, i voti del Pd che sono andati a M5s non torneranno indietro. Secondo altri invece sono recuperabili perché espressione, alla vigilia del 4 marzo, di un voto più “utile” a fermare il centrodestra. Lei che ne pensa?

Quello che sappiamo è che l’elettorato italiano oggi è molto mobile. Un terzo degli elettori ha cambiato il proprio voto tra il 2013 il 2018 e non c’è ragione di pensare che non possa farlo di nuovo. Più che elettori Pd, li definirei elettori dell’ambiente Pd molto insoddisfatti della politica di Renzi. Il 4 marzo sono andati là dove potevano esprimere in modo più forte la loro protesta. Quindi sono riconquistabili, a patto di fare proposte che siano chiare e mobilitanti.

Tav vuol dire grandi opere, soprattutto vuol dire Nord produttivo. Un’Italia che ha detto no al Pd e confinato Renzi nella ridotta del Centro. Zingaretti è in grado di parlare a questa parte del paese?

Un momento, il Nord non è del tutto ostile al Partito democratico. A Torino fino al 2016 il sindaco era Fassino, il governatore del Piemonte è Chiamparino, il sindaco di Milano è Sala. Il Pd ha forti potenzialità, soprattutto se sceglie le persone giuste.

Ad esempio?

Non sono così addentro, però so le persone che non dovrebbero essere scelte: uomini e donne di spettacolo e tv, giornalisti, scrittori. Tutti costoro sanno poco di politica, si troverebbero malissimo nelle assemblee elettive e non darebbero nessun contributo. Ci vogliono in lista donne che facciano politica e soprattutto giovani, scelti nei luoghi di aggregazione giovanile. Un partito ha bisogno di rinnovarsi.

Ma cosa dovrebbe fare Zingaretti?

Riconquistare le periferie delle grandi città, parlando a coloro che sentono il peso delle disuguaglianze. Una parte della classe operaia, che era rappresentata dai sindacati, si è dispersa nel momento elettorale. Zingaretti deve intercettare tutti questi elettori.

Prodi lo ha sostenuto. Che parte avrà ora nel Pd?

Un uomo che va verso gli ottanta non so che tipo di ruolo possa avere. Quello del padre nobile? Bene, lo eserciti, attivamente, senza venire fuori di tanto in tanto con delle dichiarazioni sporadiche. Detto questo, Prodi ha ancora un suo seguito e quello che dice conta. Se dice le cose che dice Zingaretti, il segretario del Pd avrà molto da guadagnare.

Padre nobile cosa significa? Riproporre l’Ulivo? O cos’altro?

Il disegno originario del Pd era di diventare qualcosa come l’Ulivo, e anche più strutturato di quello. Quest’operazione non è mai stata fatta e se Prodi volesse sostenerla sarebbe una buona idea. Il Partito democratico da solo fa poca strada, ha bisogno di raggiungere quel tessuto sociale che Prodi riuscì a raggiungere con l’Ulivo e che poi andò perduto, perché l’Unione era un’altra cosa.

Il renzismo si può considerare concluso?

Sì. L’idea che ci fosse un uomo arrembante, che decideva tutto, anche il sistema istituzionale che dovevamo avere, e che aveva creato una corrente molto confusa ma tutta fatta di persone che volevano qualcosa in cambio, è finita in quella bella domenica del 4 dicembre 2016. Renzi ha però reclutato l’80 per cento dei senatori e il 60 per cento dei deputati. Ci sono molti renziani che rimarranno in posti rilevanti per i prossimi quattro anni.

Appunto. Cosa farà l’ex premier?

Dipende da lui. Può limitarsi ad essere l’uomo che ha aperto la strada al governo gialloverde, oppure potrebbe giocare un ruolo diverso, non elettorale ma politico serio, non presentando libri ma argomentando la necessità di un partito di centrosinistra.

A che cosa deve puntare Zingaretti? A far cadere il governo?

No. Se il governo ha delle contraddizioni, e le ha eccome, prima o poi scoppieranno. Zingaretti deve fare la pratica dell’obiettivo, come avrebbero detto i sessantottini, cioè dedicarsi alle prossime elezioni. Deve vincere le regionali in Piemonte e dimostrare alle europee che il Pd non ha il 18 ma il 25 per cento. E soprattutto che il Pd sa gestire l’economia.

Lei cosa suggerisce?

Dia un ruolo significativo a Pier Carlo Padoan, che è uomo competente e molto apprezzato a livello internazionale.

(Federico Ferraù)