L’elezione plebiscitaria di Nicola Zingaretti a nuovo segretario del Partito democratico inaugura una nuova stagione per il governo di Giuseppe Conte: quella del tiro alla fune, con in mezzo una banderuola chiamata Movimento 5 Stelle. La scelta di Torino come prima tappa del “nuovo” Pd è simbolica. Zingaretti, espressione di una sinistra ancorata al passato, doveva lanciare un segnale rassicurante verso gli elettori moderati, quelli che Matteo Renzi aveva privilegiato pensando che la vecchia guardia sarebbe rimasta nei secoli fedele alla linea. Renzi ha toppato e Zingaretti deve recuperare su un fronte lasciato scoperto.



Così il neosegretario ha impugnato la bandiera “sì Tav” a pochi giorni dalla decisione sullo sblocco dei cantieri per i treni veloci, ed è volato a Torino, terra di lavoro, di operai, di famiglie imprenditoriali che guardano all’Italia con sempre maggiore distacco, ma anche di una società civile che guarda avanti e chiede che l’opera dell’alta velocità ferroviaria avviata venga conclusa. Una regione in cui tra poco si vota, e dove il Pd non può lasciare che venga sacrificato un governatore come Sergio Chiamparino, allungando la lista nera dei risultati elettorali negativi collezionati da Renzi prima e dal reggente Maurizio Martina poi.



Zingaretti a Torino è dunque un segnale ai moderati, una porta aperta agli elettori più incerti, ma è pure uno strattone alla fune per accentuare lo sfilacciamento nella maggioranza. Un modo per sottolineare le differenze tra i contraenti del contratto di governo che nel braccio di ferro sulla Tav stanno giocando una partita molto rischiosa. Il calo elettorale non consente ai 5 Stelle di cedere altro terreno alla Lega di Matteo Salvini. E d’altra parte questi deve tenere duro sul fronte degli investimenti al Nord e del rilancio dell’economia; non può permettersi che un ex di lusso come Roberto Maroni arrivi a ipotizzare un nuovo partito del Nord, autonomista e rappresentativo dei ceti produttivi che si sentono sempre più trascurati.



La svolta alla segreteria Pd segna l’apertura della caccia al voto grillino, un movimento che oggi sembra composto più da delusi che da militanti convinti. Torino è la città in cui il M5s ha mandato a casa un politico democratico di lungo corso come Piero Fassino, sindaco per un solo mandato, e dove i pentastellati di governo potrebbero subire una nuova batosta alle regionali, dopo quelle rimediate in Abruzzo e Sardegna. Molti delusi sono andati a ingrossare l’esercito dell’astensionismo, che in Sardegna ha toccato quasi il 50%. Perciò sono un bacino di voti da riconquistare e il Pd sembra non volere più lasciare campo libero alla Lega, che in questo momento fa man bassa di consensi.

I sondaggi dicono che il partito di Zingaretti sta recuperando e che il voto delle ultime due regionali, con il M5s che scivola al terzo posto rilanciando il vecchio bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra, indica una tendenza che investe tutto il Paese. Luigi Di Maio teme poi di venire scavalcato dai duri e puri del suo movimento guidati dal presidente della Camera Roberto Fico, che ha molti punti di contatto con il Pd. Così il tiro alla fune di Zingaretti potrebbe allargarsi e strattonare non solo il governo, per ottenere elezioni anticipate al momento poco ipotizzabili, ma soprattutto il M5s. Questo invece è un obiettivo che, a partire dalle prossime elezioni regionali piemontesi, è già più a portata di mano.