Il congresso delle famiglie di Verona è solo l’ultimo grano di un rosario di  scontri che sembra infinito. A parte il provvedimento che conteneva le due bandiere dei contraenti del contratto di governo (quota 100 e reddito di cittadinanza), per il resto è lite continua. Sono stati spesi fiumi d’inchiostro per dimostrare l’incompatibilità fra Lega e Movimento 5 Stelle, ma sinora tutti i vaticini di crisi imminente sono stati smentiti dai fatti. Vale la pena tornarci sopra e aggiornare la lista delle zuffe, che comprende Tav, Tap Ilva, Cina, autonomia differenziata delle Regioni, legittima difesa, e chi più ne ha più ne metta? E soprattutto, è davvero corretto attendere le elezioni europee del 26 maggio come un bagno salvifico, in grado di ripetere miracolosamente in moto la politica italiana?



Alla prima domanda la risposta è no: non vale la pena discutere dell’elenco interminabile delle ragioni di dissenso fra pentastellati e Carroccio, perché che si tratti di due visioni del mondo antitetiche fra loro è sin troppo evidente. Sulle europee, invece, è giusto interrogarsi, perché il paese sta soffrendo oltremisura questa situazione di pre-crisi, con un governo di fatto paralizzato nel momento in cui, invece, bisogna stilare il Def, con Tria che rilancia l’allarme crescita e l’Europa che ci tiene il fiato sul collo: Juncker da Fazio ha detto chiaro che con la crescita zero i problemi dell’Italia sono destinati ad aumentare.



L’indiziato numero uno di poter rimettere in moto la situazione è Matteo Salvini. I sondaggi continuano a premiarlo. Le regionali in Sardegna, Abruzzo e Basilicata lo hanno consacrato come unico leader in crescita (di fronte al crollo di Di Maio). Ma se Salvini non si decide a staccare la spina al governo Conte può essere solo perché ritiene ancora fruttuoso questo stato di cose, e quindi non ritiene ancora maturi i tempi per passare all’azione.

Il leader leghista lo ha detto chiaro: ha ottenuto più successi in questi nove mesi di coabitazione con Di Maio di quanti non avrebbe mai potuto portare a casa con il centrodestra. È evidente che per Salvini al vecchio centrodestra non si tornerà mai, anche se le simulazioni indicano che – in caso di elezioni anticipate – il centrodestra stravincerebbe. Nascerebbe un governo a trazione sovranista, ma al suo interno Forza Italia sarebbe ancora determinante anche se in posizione subordinata. Allo stesso tempo la Lega, per quanto appaia vicina a essere consacrata come partito di maggioranza relativa, da sola non riuscirebbe ad avere i seggi necessari per governare. E un centrodestra diviso nelle urne perderebbe così tanti seggi nell’uninominale da non riuscire a costruire una maggioranza parlamentare neppure ricomponendosi dopo il voto. Addio, almeno per ora, ai sogni di autosufficienza.



Tra i due scenari ne esiste però un terzo, da tenere presente: un mini-centrodestra, in cui il pacchetto di voto mancante a Salvini potrebbe essere portato da Fratelli d’Italia e – forse – un gruppo di fuoriusciti da Forza Italia, bramosi di sfuggire al crepuscolo del berlusconismo. Primo della lista dei possibili transfughi il governatore leghista Giovanni Toti, attaccato frontalmente dal Cavaliere nella kermesse dei 25 anni dal successo del 1994. E con lui potrebbero schierarsi i Fitto, i Musumeci, e non solo.

Ci sono mille condizionali perché questo scenario si concretizzi, dalla conferma della crisi dei grillini alla ripresa probabile del Pd zingarettiano. Serve anche  un Berlusconi sotto il 10%, così che il colpo di grazia possa essere sferrato con sufficiente sicurezza. Le elezioni europee, quindi, possono trasformarsi in un maxi sondaggio in grado di confermare o meno a Salvini se si sono concretizzate le condizioni per aprire una nuova stagione politica.

In quel caso dopo il voto ci sarebbe una fortissima accelerazione. La Confindustria non fa mistero di augurarselo, e proprio l’economia stagnante, con una difficile legge di bilancio da vare, costituisce la principale incognita nella seconda metà dell’anno. Avrà la forza di scriverla un nuovo governo Salvini-Meloni? Prima di concedere le elezioni anticipate Sergio Mattarella questa domanda a Salvini la porrà. La sua firma sul decreto di scioglimento delle Camere dipenderà dalla risposta che riceverà.