Caro direttore,
ho letto con molto stupore l’intervento di Nicola Berti pubblicato su questo giornale e riferito a Radio Radicale e alla volontà, da parte del Governo, di non confermare la convenzione di informazione radiofonica parlamentare con la storica Radio.
Dico “con molto stupore” perché, al netto di una posizione personale condivisibile o meno, l’articolo contiene numerose domande che lasciate sospese rischiano di compromettere il giudizio sulla questione.
Lo Stato italiano non “finanzia ad hoc” alcun singolo editore privato: Radio Radicale ha vinto una gara pubblica nel 1994 per la trasmissione delle sedute parlamentari, svolgendo tale compito di valore pubblico a costi notevolmente inferiori rispetto al servizio Rai con la rete GR Parlamento (i cui dati di ascolto e i costi di produzione sono da sempre avvolti nel mistero in quanto non ne esiste un bilancio pubblico). Questa gara pubblica peraltro non è più stata rinnovata (nonostante la continua richiesta proprio di Radio Radicale) ma il Governo stesso ha preferito andare avanti di proroga in proroga, pur di non riconoscere ufficialmente l’eccezionalità di un privato che svolge un eccellente servizio pubblico contro i costi sproporzionati del servizio statale.
Radio Radicale non nacque né esiste per essere “la radio del Partito Radicale”: essa è piuttosto, nella sua vocazione originaria e nella prassi quotidiana, il tentativo di dimostrare concretamente come si possa (e si debba) fare “servizio pubblico” di informazione in modo imparziale, professionale e innovativo. Prova ne è la sua politica editoriale che, lungi dall’essere un centro di propaganda politica, si è sempre basata su due regole semplicissime: la trasmissione integrale di tutti gli eventi politici di interesse pubblico e, conseguentemente, l’eliminazione della mediazione giornalistica. Al centro dell’attività di informazione di Radio Radicale ci sono i lavori del Parlamento (e questo già prima della convenzione con il Governo), a cui seguono le attività di altre istituzioni (fino ai Consigli comunali), i congressi, i festival e le maggiori assemblee di tutti i partiti politici, associazioni, manifestazioni e conferenze stampa. Insomma, un servizio pubblico tutt’altro che “presunto” e che nulla ha a che fare con +Europa, come chiunque ascolti la Radio sa benissimo (anche perché il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito non si candida ad alcuna elezione per propria scelta dal 1989 e ad impegnarsi in +Europa è piuttosto una parte della costola “Radicali Italiani” che è cosa ben diversa).
Radio Radicale è insomma, a tutti gli effetti, un bellissimo esempio di sussidiarietà: ogni giorno, la Radio dimostra come il “privato” – tanto maltrattato – possa svolgere comunque e adeguatamente un servizio pubblico per l’intera comunità, a costi ridotti e con livelli di accuratezza e professionalità che tutti vorremmo avere nell’offerta statale. Ma soprattutto Radio Radicale è uno spazio di libertà: “in una voce, tutte le voci” recita un loro felice slogan e tutti sappiamo come di spazi di libertà il nostro Paese e questa Europa sentano l’estremo bisogno.
Ci si chiede infine quali criteri strategici ed operativi vadano elaborati ed applicati nel finanziamento statale all’editoria giornalistica. La qualità del servizio pubblico che si offre mi sembra il miglior criterio possibile. O no?