Il segnale di allarme viene da Alessandra Ghisleri, la sondaggista più glamour e più brava d’Italia. I problemi degli italiani, dice, in questo momento sono quattro: nell’ordine, il lavoro, le tasse, la sicurezza personale, l’immigrazione. La gente chiede più sforzi. Peccato che il governo abbia pensato che l’immigrazione sia un tema risolto dalla chiusura dei porti e dalle statistiche sugli sbarchi, e che la sicurezza sia garantita dalla nuova legge sulla legittima difesa. E che su tasse e lavoro sia sufficiente la propaganda di questi mesi su flat tax, reddito di cittadinanza e quota 100. Ma gli elettori, avverte Ghisleri, chiedono scelte concrete. E qualcuno sta perdendo la pazienza.



Il “governo del cambiamento” finora non ha mantenuto le attese, che erano molto alte. Le campagne di immagine sui social e in televisione sono efficaci, ma la sostanza è un’altra, e la gente se ne sta accorgendo. I dati economici sono fallimentari: perfino il ministro dell’Economia è arrivato a dire che il Paese è fermo e non c’è crescita. Soltanto sei mesi fa, nell’autunno scorso quando si stava scrivendo la legge di bilancio, la crescita era stimata all’1,5%, poi all’1, poi qualcosa sotto. Ora il “sotto” è diventato sotto zero. Recessione.



Il reddito di cittadinanza non funziona: troppi paletti hanno rallentato il ritmo di presentazione delle domande, inferiore al previsto. I numeri dell’economia si stanno dimostrando un banco di prova troppo ostico per l’esecutivo Conte. Finché si tratta di promettere e polemizzare, i suoi ministri sono imbattibili. Ma se c’è da passare ai fatti, il discorso cambia: pensiamo a che cosa ha fatto il ministro Lorenzo Fontana per le famiglie in nove mesi. Nulla. Al Congresso di Verona ha rivendicato come un suo grande successo avere rifinanziato qualche fondo e qualche bonus introdotti dai precedenti governi. Novità, zero.



Se almeno il governo fosse compatto, la gente penserebbe che andiamo male, ma questo governo si sta rimboccando le maniche, ha una strategia e ce la farà. Invece lo spettacolo degli scontri interni è scandaloso: sarà anche il clima preelettorale, ma gli attriti nella maggioranza sono sempre più evidenti. Finché si tratta di divergenze sulla linea politica, è un conto: finora i due partiti un accordo lo hanno sempre trovato, anche grazie alle capacità di mediazione del premier Giuseppe Conte. Ma il fine settimana di Verona ha portato alla luce rancori e accuse personali, con toni di un’asprezza mai visti nei rapporti tra ministri e sottosegretari leghisti e grillini. Perfino il presidente del Consiglio ha avuto un cedimento quando ha detto a Salvini di leggere e studiare prima di parlare (di adozioni, nel caso specifico), mentre il ministro dell’Interno si sarebbe lasciato sfuggire un “qui comando io” che è suonato come uno schiaffo in faccia agli alleati.

A Salvini il fiuto non manca, il che, unito a un’esperienza ventennale di partito alla scuola di Umberto Bossi, ne fa oggi il leader vincente. Ma basta l’olfatto politico per raddrizzare la barca dell’economia e per rassicurare i ceti produttivi del Nord? Imprenditori e partite Iva, gli unici ancora in grado di dare lavoro a questo Paese, temono un progressivo slittamento anche di Salvini verso le politiche assistenzialiste: pensano che il vicepremier dia ormai per scontati i voti del Nord, che fanno della Lega un partito potenzialmente pigliatutto, e si preoccupi soltanto dei consensi al Sud, dove invece per conquistare Comuni e Regioni ha ancora bisogno del supporto di Giorgia Meloni e soprattutto di Silvio Berlusconi. Debole in economia e troppo furbetto nel tenere aperti i due forni: quello grillino a Roma e quello del centrodestra nelle periferie. Il gioco di Salvini si fa sempre più rischioso.