Tutto ormai è chiaro. A di là degli annunci più o meno formalizzati in mozioni parlamentari, senza novità importanti l’aumento dell’Iva sarà inevitabile. Parola di Giovanni Tria: il mite arcigno ministro dell’Economia del Governo Conte che, da un poco di tempo a questa parte, togliendosi ad uno ad uno i sassolini dalle scarpe, non le manda a dire.



Tramontato il tempo dell’enfatico taglio ai costi della politica che ben poco ha racimolato (tanto fumo e poco arrosto), archiviato il sogno di una spending review facile sulla carta ma assai più problematica alla prova dei fatti ed asciugato anche il rigagnolo della “pace fiscale”, cosa potrebbe costituire una reale novità per la sostenibilità (non solo economica) del “sistema Italia”?



Un’idea c’è, ma è di quelle top-secret, indicibili al tempo dell’ipocrisia post-ideologica, del bel pensiero politico in giacca di cachemire.

Il Paese cade a pezzi, la qualità del patrimonio edilizio anche privato è da mani nei capelli ma nessuno oggi sembra avere il coraggio di dire che all’Italia serve come il pane un grande piano integrato di riqualificazione che poggi – ecco l’innominabile – su un “condono edilizio tombale”.

Non la solita generalizzata, indiscriminata, insulsa sanatoria dei mille abusi presenti nel bel paese come emerso anche dalla maxi indagine denominata “case fantasma” condotta negli anni scorsi dall’Agenzia delle entrate di concerto con l’Agenzia del territorio, bensì un vero e proprio piano di rigenerazione del tessuto edilizio e di valorizzazione del territorio e dei beni naturalistico-paesaggistici.



Un condono come nuovo patto tra lo Stato ed il cittadino con regole chiare e certe.

Un do ut des virtuoso in cui lo Stato possa concedere – in maniera vincolata e vincolante – l’accesso alla richiesta di sanatoria in cambio, per esempio, di un adeguamento (o recupero) sismico dell’intero immobile in base alla classe di rischio prevista per la zona interessata. Oppure – nel caso di aree a bassa sismicità – di una vera e duratura riqualificazione energetica degli edifici oltre, ovviamente, all’adeguamento sismico.

Insomma un’iniziativa di buona collaborazione Stato-cittadino attraverso cui da un lato sanare, recuperare, valorizzare il patrimonio edilizio (comunque) esistente e, dall’altro, fornire alle casse statali una consistente boccata d’ossigeno utile per la messa in sicurezza del bilancio nazionale e al contempo impostare politiche di crescita.

I vantaggi di un simile piano combinato di messa in regola urbanistica e riqualificazione edilizia oltre a creare le condizioni di maggior sicurezza per l’incolumità dei cittadini porterebbe una riqualificazione e una valorizzazione ambientale e paesaggistica del nostro Paese spesso compromessa da regole insensate in cui, per un ambientalismo sciocco (come quello della doppia conformità), i volumi esistenti, diroccati, marcescenti devono essere abbandonati all’incuria per l’impossibilità di un legale e proficuo recupero.  

Per questo malcelato malvezzo, l’Italia – da nord a sud – è disseminata di volumi abbandonati che deturpano il territorio e degradano un paesaggio dovunque unico.

Contro la visone ideologica del reale serve il coraggio della politica. Di un’alta e nobile capacità amministrativa che – senza bandiere di schieramento ma anche senza lassismo – non tema l’impopolarità ma operi, in forma concordata e condivisa tra Regioni e Governo, in favore di un bene comune che non può ridursi alla pietosa venerazione dei ruderi.

Intoccabilità o recupero, incuria o valorizzazione. La sostenibilità (anche economica) dell’Italia si gioca, oggi più che mai, nella scelta tra questi due paradigmi.