A 50 giorni esatti dalle elezioni europee dentro il governo è scattata la corsa a smarcarsi. Ma l’esigenza di differenziarsi è talmente spasmodica da poter essere giustificata solo in parte con la campagna elettorale. Per di più a ricorrere a toni sempre più plateali sono assai più i grillini dei leghisti. Di Maio lo fa in modo sempre più evidente: nello stesso giorno accusa Salvini di avere una smodata bramosia di potere e di essere per soprammercato alleato in Europa con formazioni di ultradestra che negano l’Olocausto. Ma anche il presidente della Camera Fico ci mette del suo, schierandosi apertamente dalla parte di Saviano, querelato dal leader leghista per quella definizione choc di “ministro della malavita”.
Sembra quasi che siano i pentastellati in questa fase a cercare l’incidente, anche se non è che Salvini e i suoi si comportino come educande, vista la perentoria richiesta di un cambio di passo del governo per porre fine alla stagione dei no, che poi sarebbero quelli degli alleati.
Se fossimo in una situazione normale, la fine di questa complicata esperienza di governo sarebbe la logica conseguenza. Ma la fase politica che sta vivendo il paese in tanti modi si può definire, ma non certo normale. Manca, infatti, una soluzione di ricambio: a meno di sconquassi oggi inimmaginabili, senza scissioni traumatiche nei blocchi oggi in parlamento, non ci sono maggioranza alternative rispetto all’attuale. Né per governi politici, ma neppure per esecutivi tecnici, anche perché Mattarella è profondamente differente dal suo predecessore e non sembra affatto propenso a mettersi a giocare al piccolo chimico delle alchimie parlamentari.
In questa situazione di sostanziale paralisi e di pre-crisi permanente si rischia di confidare nelle elezioni europee come l’ordalia da sola in grado di certificare o diversi equilibri dentro l’attuale maggioranza, oppure il maturare di scenari politici alternativi, da raggiungere attraverso un passaggio elettorale. Molte aspettative potrebbero andare deluse perché sta maturando la consapevolezza del drammatico passaggio che attende il paese dal punto di vista economico. L’assenza di Tria all’Ecofin di Bucarest, il suo precipitoso rientro a Roma per completare la stesura del Def costituisce un dato sufficiente a comprendere la delicatezza del momento, all’indomani dello scontro in Consiglio dei ministri intorno ai rimborsi ai truffati delle banche. Questioni di regole (anche europee) da rispettare, ma anche questione di costi.
I denari scarseggiano, le prime riunioni sulla manovra indicano la necessità di cifre enormi, almeno 36 miliardi, 23 dei quali solo per evitare l’aumento automatico delle aliquote Iva. Tria, che tenta di evitare sconquassi eccessivi alle casse pubbliche, si trova nel suo momento di massima debolezza. Potrebbe saltare subito dopo le europee, o forse prima. Per paradosso proprio questa sua debolezza gli conferisce la forza di tener duro, non avendo nulla da perdere. Di Maio avrebbe offerto il dicastero dell’Economia alla Lega, in un disperato tentativo di rabbonire l’alleato. Ma nessuno, Giorgetti in testa, smania di sedersi su una poltrona che scotta.
Nei giorni scorsi tanto il segretario dell’Ocse, Gurría, quanto il presidente della Commissione europea, Juncker, con fare in apparenza bonario hanno richiamato l’Italia a fare di più (molto di più) per contrastare la stagnazione della sua economia. Dopo il 26 maggio i richiami provenienti tanto dalle organizzazioni internazionali quanto dai mercati potrebbero essere assai meno bonari. Chi sarà a Palazzo Chigi, chiunque egli sia, dovrà fare i conti con questo quadro drammatico.
Mattarella, che oggi non ha armi diverse dalla moral suasion, potrebbe dover intervenire. A oggi gli scenari possibili sono molti, da un rimpastino al governo Conte sino a elezioni subito dopo l’estate. La montagna del debito pubblico rimane alta come l’Everest, e non si scala certo con un’economia che rischia di innestare la marcia indietro. Il rischio è di dover somministrare al paese medicine amare, e di assumersene le responsabilità. Il primo novembre Mario Draghi avrà concluso il suo mandato alla Banca centrale europea. Da qui ad allora molta acqua sarà passata sotto i ponti.