Ciò che non uccide, fortifica. La diatriba senza fine tra Di Maio e Salvini ha garantito una risalita inaspettata dei 5 Stelle ed una tenuta per molti versi invidiabile della Lega nei sondaggi. Opposizioni non pervenute. A questo punto, temendo che lo scontro a suon di promesse ed elargizioni tra gialli e verdi si risolva nello sfascio dei conti pubblici, Sergio Mattarella ha passato il Rubicone del decisionismo ed ha fatto trapelare l’intenzione di fare Mario Draghi senatore a vita. La scelta di Draghi fatta in virtù del suoi meriti come direttore generale del Tesoro, governatore della Banca d’Italia e presidente della Bce, tralasciando il periodo in Goldman Sachs, sarebbe un riconoscimento al suo valore, anche perché tra lui e il Capo dello Stato in tutti questi anni le comunicazioni non si sono mai interrotte.
Che fosse Draghi la carta numero uno del Colle era nell’ordine delle cose da tempo, come è stato scritto già mesi fa e poi ripetuto su queste pagine. Stupiscono semmai le modalità, ordinate, lineari, scontate. Può Mattarella puntare tutto su Draghi senza ripetere gli errori distruttivi del governo Monti?
L’interrogativo ora allo studio degli uffici del Quirinale è quando formalizzare la nomina di Super Mario: 2 giugno, giorno in cui il Consiglio dei Capi di Stato sceglierà il suo successore e, dimettendosi, potrebbe teoricamente lasciare Francoforte, o il 1° novembre, quando finirà effettivamente il mandato?
Resta il problema più ovvio. Chi voterebbe in parlamento per un governo Draghi? Oggi, nelle dichiarazioni di circostanza, nessuno. Domani, con l’acqua alla gola di una legislatura in bilico, la fila dei questuanti e dei disperati alla ricerca di un’ancora di salvezza è pronta ad ingrossarsi.