Che il risultato di queste elezioni segni la fine o l’inizio di una “repubblica” si può almanaccare a lungo, di certo sulla scena politica di fronte a una gravissima crisi economica si moltiplicano i paradossi italiani mentre si annebbiano gli sbocchi positivi. Conseguenze immediate: un governo tenuto in piedi non dalla fiducia, ma da una non sfiducia.



Il Pdl riedita la “doppiezza” togliattiana: in Parlamento con il governo, fuori – con i suoi giornali e i suoi dirigenti – contro. Bersani dichiara di essere in grado di fare meglio di Monti, il suo programma è già pronto (è quello messo a punto dal Partito socialista europeo) e solo il Quirinale gli sbarra la strada del voto anticipato. Ma, d’altra parte, non sono i candidati del Pd a vincere, Di Pietro chiede la rinegoziazione dell’alleanza e Vendola vuol coinvolgere Grillo. Il Terzo Polo si è dissolto: è rimasta l’Udc, mentre Fini e Rutelli non sembrano avere un qualche seguito.



Con quali partiti e con quale legge si voterà alle prossime elezioni politiche nessuno è in grado di dirlo. È così che proprio con un governo dei tecnici si ha l’esplosione della “antipolitica”. Forse è bene approfondire questa cosiddetta antipolitica (termine inventato molti anni fa da Luciano Cafagna per definire il carisma di Silvio Berlusconi) e cioè cominciare a distinguere tra sfiducia negli uomini politici e nei partiti e sfiducia in questi uomini politici e in questi partiti. Si tratta di due fenomeni complementari e sommabili, ma ben distinti.

L’antipolitica – ovvero l’eccezione d’infamia e la sfiducia nella classe politica – di per sé è nello stesso “dna” degli italiani per ragioni anche antiche e profonde. La prima è di natura “storica” nel senso che abbiamo un patriottismo debole: la nostra unità nazionale è il risultato di guerre di indipendenza che abbiamo sempre perso e sono risultate vittoriose grazie all’aiuto militare straniero. Successivamente abbiamo collezionato tre catastrofici dopoguerra che hanno condannato l’intero passato: la “vittoria mutilata” del 1918, la “morte della patria” del ‘43-‘45 e infine, dopo la fine della “guerra fredda”, “Tangentopoli” che hanno ripudiato in blocco – basta leggere i manuali scolastici – l’Italia liberale, fascista e repubblicana.



Questa problematica solitamente considerata “di destra” è stata poi negli anni ‘80 legittimata e cooptata a sinistra tra “questione morale”, “governo degli onesti” e movimenti della “società civile”. Arrivati alla Seconda Repubblica, il maggioritario si è articolato in due poli che ostentavano soluzione di continuità con i politici di professione. Ora però sarebbe opportuno cominciare a chiedersi se l’attuale protesta antipolitica non abbia anche talune ragioni specifiche che riguardano non la Politica, ma il fatto che le attuali leadership non suscitano fiducia nella capacità di affrontare e risolvere i principali problemi.

Si continua a dire che il debito pubblico è colpa di Craxi e del suo governo di circa trent’anni fa. Ma il debito in questi ultimi venti anni ha continuato ad aumentare. Sono venti anni che si discute di legge elettorale, si continua a cambiarla e in conclusione si è tutti d’accordo che quella attuale è la peggiore, ma da due legislature le diverse maggioranze non la toccano. Abbiamo come Altare della Patria della Seconda Repubblica “Mani Pulite” e abbiamo una legge che finanzia partiti che non esistono più dando i soldi in mano ad amministratori fantomatici. E di questo passo l’elenco delle incongruità potrebbe proseguire a lungo.

Abbiamo ora un Parlamento che si è politicamente dimesso, cioè si è dichiarato incapace di esprimere dal proprio seno un governo e siamo, unici nell’Occidente democratico, ad avere un esecutivo extraparlamentare. Come si può pretendere che suscitino fiducia leader politici che dichiarano che è meglio che siano altri a governare il Paese? È evidente che si crea un clima da luna park con i Beppe Grillo in scena.

A ciò si aggiunge come l’elettorato di centrodestra sia stato terremotato da una mobilitazione scandalistica per via giudiziaria contro la leadership “carismatica” del Pdl e della coalizione e le sue più significative radici territoriali interne ed esterne come la Lega. Si sono colpiti uomini e movimenti non sulla base di elementi che abbiano rilevanza penale, ma soprattutto su indiscrezioni circa la vita privata. Abbiamo i “magistrati-paparazzi”.

La via maestra potrebbe essere quella di riproporre una dialettica di tipo europeo, ma ciò non sembra possibile: Massimo D’Alema è vicepresidente di un’Internazionale socialista di cui il suo partito non fa parte e Silvio Berlusconi, proprio lunedì, ha ben ricordato Baget Bozzo esaltando la convergenza tra liberalismo, socialismo e cristianesimo, ma poi presenta liste con la Fiamma o a La Destra e condivide il sostegno alla Le Pen.

Certo in politica gli scenari possono cambiare in modo rapido e imprevedibile. Come amava ricordare Victor Hugo “nel momento in cui condannarono a morte Luigi XVI, a Robespierre restavano ancora diciotto mesi di vita, a Danton quindici e a Marat cinque”.