Nel decennale del tragico terremoto dell’Aquila parte dall’Abruzzo un terremoto di altro genere, meno cruento, ma destinato a far sentire le proprie onde sussultorie sino a Roma. Le regionali nella terra dominata dal Gran Sasso d’Italia sembrano destinate a segnare profondamente la politica nazionale. Pur con tutte le cautele necessarie nel trasferire un voto regionale a livello nazionale, ci sono dei vincitori, dei redivivi, ma soprattutto dei perdenti netti, ed è da qui che bisogna partire.



Undici mesi fa in Abruzzo il Movimento 5 Stelle aveva raggiunto il 40%, oggi i suoi voti sono più che dimezzati. Ma quello che ha più colpito chi ha potuto osservare l’andamento del consenso attraverso i sondaggi anche nel momento in cui ne era vietata la pubblicazione è stato il progressivo indebolimento dei grillini, che hanno subito anche la rimonta del candidato democratico, Giovanni Legnini, sino a pochi mesi fa vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura. Il redivivo centrosinistra, appunto, premiato dal forte radicamento territoriale e dal candidato prestigioso.



La batosta grillina appare ancora più evidente di fronte a un autentico balzo tenuta del centrodestra unito, che stravince con un candidato targato Fratelli d’Italia, ma soprattutto grazie a una Lega straripante, che diventa nettamente il primo partito della regione. Per la maggioranza di governo non poteva esserci campanello d’allarme più rumoroso: i due contraenti il contratto di governo hanno andamento opposto, e i rapporti di forza fra Carroccio e grillini sembrano definitivamente ribaltati. Nell’immediato è probabile che non succeda nulla, anche perché Salvini si è affrettato a spiegare che a Roma non cambia nulla e che la coalizione di governo rimane quella che è. Ma fra due settimane, se il trend abruzzese dovesse essere confermato nelle elezioni regionali della Sardegna, allora davvero si potrebbero aprire scenari imprevedibili.



Cerchiamo di analizzare con freddezza la situazione: la sconfitta in Abruzzo potrebbe avviare la resa dei conti dentro il Movimento 5 Stelle, con Di Maio sul banco degli imputati. Una seconda solenne sconfitta in terra sarda potrebbe costituire per la sua leadership il colpo di grazia. Del resto, l’elenco dei fronti caldi per i grillini si allunga giorno dopo giorno: la Tav, la Francia e da ultime la polemica di Di Battista contro Napolitano e quella del vicepremier contro Banca d’Italia e Consob. Solo in quest’ultimo caso si è registrata identità di vedute con l’alleato leghista. Per il resto la distanza è siderale. Si pensi alla crisi venezuelana, all’autonomia delle regioni del Nord, alla legittima difesa o all’autorizzazione a procedere contro Salvini per il caso Diciotti. Tutte le speranze di invertire il trend sono riposte quasi fideisticamente nel reddito di cittadinanza.

Il Movimento vive con apprensione l’isolamento crescente che verifica intorno a sé, compreso il pressing del Quirinale, che ormai non perdona passi falsi: si è visto sul Venezuela, sul decreto semplificazioni, come pure di fronte allo scomposto attacco contro Napolitano. Alla Lega, al contrario, si rivolgono in tanti, ad esempio sindacati e imprenditori, come l’unica forza ragionevole, in grado di stoppare le leggerezze di un Governo giudicato del tutto inadeguato. Sinora il rapporto personale fra Salvini e Di Maio ha puntellato il traballante esecutivo. Presto potrebbe non bastare, se l’ala dura dei grillini dovesse pretendere di più, e andare allo scontro con la Lega, per distinguersi. Allo stesso modo Salvini potrebbe non riuscire più a resistere alle sirene di chi gli chiede di staccare la spina.

Per prendere una decisione sul futuro il tempo stringe: a fine maggio ci sono le europee, ma soprattutto in prospettiva si preannuncia una legge di bilancio drammatica, con la necessità di trovare una cifra enorme, 23 miliardi, solo per evitare l’aumento automatico dell’Iva. Sarà quindi una manovra da lacrime e sangue, di quelle che si possono fare solo in una fase immediatamente successiva a un turno elettorale, non subito prima.

Zoppica, infatti, l’ipotesi che questo governo possa arrivare a fine anno, e poi portare il Paese alle elezioni a inizio 2020. Il tempo stringe, anche se ogni ipotesi di voto anticipato dovrà fare con il presidente della Repubblica Mattarella, che certo esplorerà ogni ipotesi di governi alternativi rispetto all’attuale. Potrebbe però convincersi che il voto sia il male minore per il paese. Dall’Abruzzo potrebbe davvero essere partita una valanga in grado di travolgere l’esecutivo giallo-verde.

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