Due ciechi che si scagliano pietre l’un l’altro. È la traduzione di un modo di dire abruzzese che stigmatizza gli antagonisti di certe diatribe, evidentemente entrambi lontani dal cuore del problema nell’ottica di chi osserva dall’esterno. Giulia Bongiorno ha aperto il fuoco sulla prescrizione e questo ha riaperto timidamente l’attenzione al tema della giustizia. Timidamente perché comunque adesso il caso è questo della prescrizione. Tema giuridico che diventa politico, il che è tanto più lecito quanto più è malato il Paese. La prescrizione è una caratteristica coessenziale alla natura del diritto, fa parte dell’esame organolettico del diritto, come il residuo zuccherino nel vino. E naturalmente coinvolge la dimensione dell’esercizio del diritto, che è già un’altra categoria, quest’ultima spuria, contaminata dalla realtà e dalle circostanze. Esiste un diritto ed esiste il modo, i tempi e “le regole” per esercitarlo.
La prescrizione riguarda sia il diritto civile che quello penale. Se non attivo il diritto di credito per 10 anni questo si estingue. Se non arrivo alla condanna di un imputato entro tot anni, quel reato si considera estinto. Nel diritto civile se inizio la causa e questa dura 12 o 13 anni (capita molto spesso) quel diritto è ancora valido, in quanto reclamato formalmente attraverso la giustizia. Nel diritto penale una complessa e affascinante storia di dottrina e di valori dice l’opposto. Se non si arriva a sentenza definitiva entro quel tot termine, il reato è estinto. Finisce l’interesse pubblico a ottenere un giudizio.
Il problema allora, per servire questo povero Paese, è di non fare un caso polemico di questo problema. In Italia i tempi dei processi, civili, penali e amministrativi, sono fuori graduatoria mondiale. Al livello di quarto mondo, se esiste la categoria. Questo nella giustizia civile costa la rinuncia a investimenti e compromette la produttività nazionale con danni che alcuni studi stimano nell’ordine del 2% o 3% del Pil. Una riforma radicale vera e rapida della giustizia civile produrrebbe una crescita economica sbalorditiva, da generare risorse per il risanamento idrogeologico, prevenzione sismica, sostegno alla povertà e riduzione seria del carico fiscale in meno di 10 anni. Con una sola, ma vera riforma. Mario Draghi in audizione alla Camera dei Deputati nel 2015 ricordava studi e ricerche che suggerivano che il dimezzamento dei tempi della giustizia produrrebbe un aumento dimensionale delle imprese fra l’8% e il 12%.
Nel campo penale la durata dei processi vanifica spesso anni e milioni di spese di indagini e burocrazia senza riuscire a concludere un risultato, molto spesso evidente. I colpevoli assolti o liberi insomma. Perciò il Movimento 5 stelle propone la sospensione del termine di prescrizione a un certo punto e immagina che più magistrati e più dipendenti nella giustizia risolverebbero il problema. La Bongiorno reagisce con legittime osservazioni di senso pratico. Per come funziona, cioè per come “gira” il meccanismo giudiziario, dice l’avvocato Bongiorno, il timore è che rilassati dalla sospensione dei termini, i tempi e i responsabili della giustizia allunghino ancora di più il calvario della persona umana che si trova coinvolta in queste storie.
Peccato litigare sugli effetti e non sulle cause però. Il problema sono i codici e la legge sull’ordinamento giudiziario in primis. Roba difficile da portare al talk show e su twitter. Poi il ruolo e il lavoro degli 8000 magistrati. Credere che il problema della giustizia sia il numero dei giudici o la prescrizione o la legittima difesa o le intercettazioni è come credere che il problema principale di una bottiglia di vino sia il carattere grafico da usare nelle informazioni sull’etichetta.
A proposito, è rimasta fuori la Giustizia amministrativa negli esempi delle conseguenze dei tempi della giustizia. Nella casa in Sicilia dove sono appena morte due famiglie con 2 bambini, uno di 1 anno e uno di 3 anni e dove era prevista una festa di 70 persone per il compleanno di uno dei piccoli, c’era un ordine di demolizione datato 2008. Sospeso nel mentre i proprietari – i deceduti erano inquilini, riferiscono i telegiornali – seguivano la consueta trafila dei ricorsi, impugnative, ecc. Questo evento siciliano è esattamente l’esito emblematico in corso, la fotografia, la pellicola del film già registrato ma che stiamo recitando. Solo che a differenza della festa nella casa siciliana, sciolta in tempo o mai avvenuta, qui l’alluvione ci sta trovando e ci troverà tutti presenti.