A 100 giorni dal voto europeo, già definito come “il più importante dal 1979”, i sondaggi europei, per la prima volta, segnalano che popolari e socialisti potrebbero non avere più la maggioranza dell’Europarlamento. Secondo Pollofpolls, il Ppe potrebbe scendere da 221 a 176 seggi e il Psoe da 191 a 136, a vantaggio di altre forze, comprese quelle nazionaliste. Insomma, tra europeisti e “sovranisti” la partita sarebbe in bilico. Fosse questo lo scenario, che cosa dovremmo aspettarci? “Guardando le previsioni – osserva Arnaldo Ferrari Nasi, analista politico e sondaggista -, questa sembra essere l’aria che tira in tutta Europa. Ma questo non vorrà comunque dire ‘meno Europa’, bensì ‘un’Europa diversa’. Il ‘meno Europa’ lo stiamo vedendo con la Brexit, con il marasma e il caos in cui si trovano gli inglesi, senza contare il lato economico, con le molte aziende che hanno già abbandonato il Regno Unito”.



E l’Europa diversa?

Lo vedo soprattutto qui in Italia. Da 15 anni chiedo agli italiani se vogliono più o meno Europa, e il trend, dopo il calo anomalo di 10 punti dello scorso anno, è tornato nella normalità, cioè è salito: quelli che chiedono più Europa sono di nuovo i due terzi. Non cambia tanto l’idea di aggregare di più; è, invece, sempre più forte la richiesta di aggregare meglio. Non si nega, dunque, l’Europa, nei cui confronti il pensiero è sempre molto positivo, ma un certo tipo di Europa.



Da cosa dipende questa risalita?

Come dicevo prima, è un ritorno al trend normale. A essere anormale era il dato basso, ma sempre maggioritario, dello scorso anno. Certamente il concreto dei problemi che si stanno vedendo sulla Brexit ha costretto un attimo la gente a pensare.

Torniamo ai sondaggi Ue. Qualora dalle urne uscisse una sorta di pareggio, in fatto di seggi, tra europeisti e sovranisti, secondo lei che tipo di Europa e di Commissione Ue ne potrebbe uscire? Più debole? Sostanzialmente bloccata?

Non credo, perché i cosiddetti sovranisti, in realtà, non dicono più “usciamo dall’Europa”, chiedono di cambiarla. Quindi, probabilmente, alla fine ne potrebbe scaturire un confronto positivo con gli europeisti duri e puri (o supini, se li vogliamo vedere in un altro modo). Ne potrebbe anche scaturire una scintilla positiva per il cambiamento della governance europea.



Ieri Claudio Borghi ha dichiarato: “Lasciare la Ue dopo il voto se resta ‘tossica’. O la cambiamo o meglio uscirne”. La Lega farà una campagna elettorale fortemente all’insegna dell’anti-Ue? E’ una strategia che potrà pagare in termini di consensi?

Ricordiamoci che la Lega è il partito più vecchio d’Italia, in cui è cambiato solo il nome, e neanche del tutto: da Lega Nord a Lega. Gli uomini sul territorio, i quadri, i dirigenti sono gli stessi di prima. Salvini stesso ha fatto tutti i suoi vent’anni di carriera all’interno del partito Lega. E’ gente che conosce la politica, cerca il compromesso, ragiona. Nella campagna elettorale prima delle ultime politiche, i toni della Lega nei confronti dell’Europa si erano smorzati, direi quasi in maniera imbarazzante. Perché, se uno guarda i dati reali sulla considerazione degli italiani per l’Europa, si rende conto che o si ragiona e si fanno delle proposte alternative e positive, oppure ci si schianta. Chiaro, poi, che qualche slogan urlato ci sarà sempre. Quando però si andranno a raccogliere i possibili voti veri, non credo che ci sarà una campagna così distruttiva.

Quali saranno i temi che domineranno la campagna elettorale in Italia in vista delle europee: l’immigrazione? L’economia? La governance della Ue?

L’immigrazione potrebbe essere un’arma positiva per la Lega, visto che con la politica dura di Salvini l’Italia ha ottenuto dei risultati: siamo riusciti a dire dei no, a farci ascoltare, a proporre soluzioni alternative. Anche la governance Ue troverà molto spazio, perché questo è il traguardo di tutte le forze politiche e su questo tema si dovrà fare la vera politica.

L’economia no?

Qui siamo gli ultimi della classe nella Ue, è il vero fianco scoperto della coalizione al governo: l’economia è il loro buco. L’Italia potrebbe, pur portando istanze forti e giuste, essere tacciata di non credibilità. Un po’ come l’umiliazione che ha dovuto subire Conte dal belga Verhofstadt. Un italiano da un belga, 60 milioni di persone umiliate da 11 milioni, un Pil di 2mila miliardi da neanche 500…

Se questa sarà l’agenda prima del voto, che chance avranno Forza Italia e Pd? Riusciranno a ritrovare nuova visibilità, visto che le europee si svolgono con il sistema proporzionale?

Forza Italia è un’incognita. Ho visto Berlusconi in tv e ha detto molte cose di buon senso, però non è più credibile come un tempo, ha già avuto le sue opportunità e ha ormai 82 anni. Detto questo, ricordiamoci che nonostante l’età è ancora in forma.

Che c’entra?

Quanti anziani ci sono in Italia? Per loro è un punto di riferimento, proprio per la sua vitalità. E’ uno di loro e si fa vedere ancora forte, sicuro. Potrebbe anche portare Forza Italia sopra l’asticella del 10% e non sarebbe male.

E il Pd?

Diciamo subito che il bello della politica è anche la sua imprevedibilità, in poco tempo gli scenari possono cambiare anche di molto. Solo un mese fa si diceva che i grillini sarebbero diventati la nuova sinistra e il Pd quasi scomparso. Adesso, dopo il voto in Abruzzo, la situazione sembra di nuovo cambiata. Il Pd è uscito ringalluzzito, sono tornati fuori sfruttando la solita forma, quella dell’unione di più sigle, che però è vincente. Non hanno bisogno di giocare su particolari temi, devono recuperare credibilità nel loro elettorato. E dall’Abruzzo sono arrivati in tal senso indicazioni positive. Il Pd può dire la sua solo se non è litigioso.

Il voto in Abruzzo dimostra che c’è ancora voglia e fiducia nel centrodestra?

Il centrodestra unito è un classico, una formula che funziona. Se ci pensiamo bene, sarebbe dovuta andare così anche alle politiche scorse. Per un soffio oggi ci troviamo di fronte a qualcosa di spurio, di cui sono sempre più evidenti le contraddizioni e i contrasti.

Il M5s ha presentato ieri il programma e i quattro alleati per le europee. Il tema forte su cui punta è la democrazia partecipata. Può far presa sull’elettorato e consentire di riguadagnare un po’ i consensi perduti?

Per democrazia partecipata che cosa intendono? Che tutti votano su temi complessi di cui non sono competenti, tipo trattati internazionali o nuovi protocolli sanitari? Il problema vero è che si rischia così di riproporre il meccanismo leader-popolo, che ha portato alle dittature e alle guerre mondiali del secolo scorso. E’ esattamente il meccanismo che più di tutti la nostra Costituzione vuole evitare, i padri costituenti l’hanno creata proprio con questo denominatore comune!

Il M5s non ha ancora un gruppo all’Europarlamento a cui aderire. Potrebbe essere un problema?

I grillini avrebbero dei grossi svantaggi oppure dovrebbero trovare alleanze di rincalzo.

In Spagna si voterà il 28 aprile, un mese prima delle europee. Da Madrid potrebbe arrivare un nuovo segnale di forza del vento sovranista?

La Spagna è la Spagna. Fine.

(Marco Biscella)