Intervenendo sul tema dell’“autonomia differenziata”, Giuseppe Sala ha detto alcune verità. Il modo in cui viene posta da parte del governo la questione dell’autonomia rischia di risolversi in un’occasione per “stritolare ancor di più le città nella morsa degli apparati regionali e statali”. Il sindaco di Milano denuncia il rischio che ambiti cruciali, quali scuola, sicurezza, sanità e turismo, siano costantemente sottoposti alla “sovrapposizione di poteri, istituzioni e controlli incrociati”.
Sala ha la responsabilità di guidare l’amministrazione comunale di Milano, una città che vale il 10% del Pil nazionale, il cuore del dinamismo economico e sociale dell’Italia, tuttavia le sue considerazioni circa il pericolo che al centralismo statale si aggiunga un esasperato centralismo regionale valgono per il Paese nel suo complesso.
Infine, Sala pone due interrogativi: le Regioni chiedono di gestire più competenze o semplicemente più risorse e quindi più potere? E se alcune Regioni avessero più risorse, conclude Sala, come si farebbe onestamente a non penalizzare le altre?
Con una chiarezza esemplare e con onestà intellettuale, le due domande poste dal sindaco di Milano sollevano la questione di fondo. L’idea di “autonomia differenziata” a cui lavora il governo si risolve in un’operazione che condurrebbe le Regioni a più alto reddito a trattenere una parte maggiore delle tasse raccolte nel proprio territorio, sottraendole alla fiscalità nazionale.
Quanto alle competenze, è utile la riflessione che sulla materia svolge Gianfranco Viesti: ci sono richieste di autonomia su specifiche questioni legittime, ma appare evidente che le 23 materie coinvolte siano assai disparate. Per le reti di trasporto e navigazione, per la produzione, il trasporto e la distribuzione dell’energia e la tutela della salute il passaggio a una competenza regionale esclusiva non pare opportuno, per non dire della regionalizzazione della scuola, che può distorcere una delle istituzioni fondamentali per la vita del Paese.
Colpisce che, come ricorda Antonio Napoli, il Parlamento sia tagliato fuori dalla valutazione delle funzioni e delle risorse da trasferire. Il calcolo delle risorse regionali avverrebbe caso per caso, dando vita a italiani di serie A e B con diversi diritti e diversi servizi. Del resto, le iniziative del Veneto e della Lombardia sono esplicitamente finalizzate a ottenere, sotto forma di quote di gettito dei tributi che vengono trattenute, risorse pubbliche maggiori rispetto a quelle oggi spese dallo Stato a loro favore.
Sia chiaro: in discussione non è il principio di un maggiore decentramento. Sono dell’avviso che, liberato dal carattere eversivo dell’unità nazionale che le aveva impresso la Lega, non sarebbe scandaloso riprendere il confronto su un progetto federalista solidale e responsabile, che ritrovasse un nesso con la storia della nazione italiana. Tutto ciò non ha un bel niente a che spartire con quanto si propone oggi il governo.
Chiamano “autonomia differenziata” una sorta di colpo di mano che avrebbe conseguenze sull’intero organismo nazionale. Comporterebbe lo spostamento di poteri dal centro alle Regioni su materie decisive. Il tutto – incredibile a dirsi – sulla base di un accordo raggiunto con una trattativa riservata tra il governo e tre Regioni. Accordo che il Parlamento, praticamente informato a cose fatte, dovrebbe limitarsi a ratificare senza possibilità di apportare modifiche.
Un tale progetto va contrastato. Occorre lavorare a che sorga nel Paese un forte movimento civile che indichi una strada diversa. A cinquant’anni dalla nascita delle Regioni, si impone una riflessione su aspetti cruciali del regionalismo italiano, ma il tema della differenziazione delle Regioni, lo ricorda in un suo recente lavoro Gianfranco Viesti, va affrontato con serietà e senza improvvisazioni. Con una grande attenzione sia rispetto alle disposizioni finanziarie che esso comporta, sia in considerazione dell’uniformità di trattamento dei cittadini all’interno dello stesso Paese.