Pubblichiamo le considerazioni introduttive di Lorenza Violini al Seminario dell’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà su “Ripensare le istituzioni”, Roma, 21 marzo 2019 (ndr)
Benché il tema delle riforme costituzionali, almeno sotto l’aspetto della “grande riforma”, sia ormai tramontato ed uscito quindi dall’agenda politica, in questa sede mi pare utile ricordare che, alla fine del 2018, la XVIII Legislatura ha prodotto 124 progetti di legge di revisione costituzionale (66 alla Camera, 58 al Senato) due dei quali, ad oggi, sono stati approvati in prima lettura da una delle due Camere, quello sugli istituti di democrazia diretta e quello sulla riduzione del numero dei parlamentari. Almeno un membro di ogni gruppo parlamentare ha presentato un progetto, anche se, per ovvi motivi politici, la probabilità che uno di quelli presentati dalle opposizioni superi il doppio esame di ciascuna Camera è prossima allo zero.
I due progetti di legge costituzionale che hanno intrapreso l’iter (siamo alla prima lettura, uno approvato dalla Camera e uno approvato dal Senato) si riferiscono in senso lato all’area parlamentare e sembrerebbero come orientati verso un depotenziamento del ruolo del Parlamento; il che si comprende alla luce della crisi del parlamentarismo che affligge le democrazie avanzate. Esse necessitano di un rinnovamento profondo dei loro apparati istituzionali per rispondere in modo adeguato alle sfide della globalizzazione (tecnocrazia, crisi della rappresentanza e dei partiti tradizionali, multiculturalismo degli odierni contesti sociali e molto altro ancora).
Ad un tempo, è emersa in diverse aree del nostro Paese una domanda molto pressante di maggiore autonomia. Essa riveste una forte matrice “costituzionale” soprattutto perché a tale domanda è sottesa la spinta a riformare gli assetti territoriali e le amministrazioni regionali e locali su cui si regge l’apparato statale.
Ora, se si connettono i due trend riformatori – quello relativo al Parlamento e quindi alla sostanza della democrazia rappresentativa (rapporto tra cittadini e istituzioni) e quello che guarda ai territori e alle loro domande -, si possono identificare, come in filigrana, le due declinazioni del principio di sussidiarietà, quella orizzontale e quella verticale. Si tratta di un principio che esprime, in ultima analisi, le caratteristiche salienti del modello costituzionale emerso dall’assemblea costituente, e che si incarnano negli art. 2 (formazioni sociali) e 3 (eguaglianza formale e sostanziale, nella forma della promozione del pieno sviluppo della persona umana) della Costituzione del 1948.
E’ anche per questo che il seminario/dialogo di oggi riveste una grande importanza: occorre infatti ricominciare a discutere, nelle sedi opportune:
– degli aspetti più specifici che sono sul tappeto
– del rapporto tra democrazia diretta e democrazia rappresentativa, due facce della stessa medaglia: Come le si può tenere unite? Può essere una a detrimento dell’altra o possono rafforzarsi a vicenda? Quali gli elementi da sviluppare e quali da correggere?
– del rapporto tra stato nazionale (la cui unità non può essere messa in discussione) e entità regionali e locali anche in un’ottica di differenziazione, che non va demonizzata ma va capita fino al dettaglio analizzando le singole richieste di autonomia, le singole funzioni e gruppi di funzioni rispetto alle quali dire si o no, senza essere travolti dal clima generale che tende a valutare in modo ideologico la questione (nord contro sud, ricchi contro poveri, ecc.)
Ma forse – questa è anche l’idea di oggi – il tema non può essere solo “di dettaglio”; vi sono infatti elementi di fondo che vanno ripresi e messi in primo piano: come si ripensa al ruolo delle istituzioni democratiche, come si colloca il Paese nel contesto internazionale ed europeo, come si aiuta la crescita, come si configurano i processi educativi in un contesto multiculturale odierno, come si rafforza la giustizia e il welfare.
Occorre, in altre parole, attivarsi alla ricerca dei pilastri del vivere civile e della vita delle istituzioni e discuterne insieme, liberi da schematismi perché il cambiamento d’epoca che oggi viviamo richiede umiltà e tenacia, coscienza della complessità dei problemi e fiducia…. Tutte “virtù civiche” senza delle quali ogni disegno riformatore è destinato a fallire.
Quali sono dunque i fattori “costitutivi” di un sano ed efficace processo di riforma?
Oltre ai tre grandi temi sul tappeto (riforme costituzionali, regionalismo differenziato e relazione tra istituzioni e con i corpi intermedi) è importante, infatti, in questa fase politico-istituzionale porre, a monte, i grandi temi che stanno alla base di un sano riformismo. Senza una riflessione di fondo sulla direzione che dovrebbe prendere il Paese per ricominciare a crescere, anche riforme parziali o interventi settoriali rischiano, infatti, di riproporre aggravandoli gli stessi problemi strutturali che oggi lo affliggono fino a paralizzarlo (crescita zero, immobilismo sociale, centralismo – a tutti i livelli di governo, scientismo, nichilismo, emergenza educativa).
Si può dire che questo tipo di domande sono rimaste latenti nel passaggio dalla prima alla seconda repubblica; le classi politiche che si sono avvicendate in questi 30 anni è come se avessero tutte condiviso una visione miope, incapace di elaborare una vera e propria proposta politica, e hanno di conseguenza bloccato le forze vive a livello socio-economico; inoltre, personalismi e interessi di parte hanno contribuito a frenare una vera riforma istituzionale strutturale. Forse l’esempio più clamoroso di questo blocco è stata l’incapacità di creare un accordo almeno sulle questioni di fondo, sulle regole del gioco politico (es. scelta sulla forma di governo, scelta sul sistema elettorale, riforma della pubblica amministrazione). Il “gioco” delle riforme è stato infatti a somma zero ma a prezzo di divisioni laceranti quanto inutili: non stupisce quindi che siano poi emerse forme politiche antisistema ma evocative di un generico cambiamento, di cui tutti sentono il bisogno.
Occorre raccogliere la sfida, soprattutto a questo livello. Per questo un dialogo bipartisan e sincero è la più urgente necessità.