Il governo giallo-verde è in stallo, sottoposto a continue fibrillazioni, si mostra diviso su tutto, con i due maggiori azionisti di maggioranza – Luigi Di Maio e Matteo Salvini – che non perdono occasione per punzecchiarsi a vicenda: dall’economia alla politica estera, dalla famiglia alle grandi opere. Poi, quando sembra sul punto di implodere, il governo resiste senza cadere. L’unione durerà anche dopo le elezioni europee o il governo è destinato a rompersi? In tal caso, visto che gli italiani alle ultime regionali hanno sempre premiato la vecchia coalizione di centrodestra, cui invece Salvini non crede più, che cosa potrà succedere? Si andrà alle elezioni anticipate? Che ruolo potranno giocare Berlusconi e il Pd? Lo abbiamo chiesto a Lorenzo Pregliasco, cofondatore e direttore di YouTrend.



Il governo è in perenne fibrillazione, litiga su tutto, eppure non cade. Sarà così anche dopo le europee o è destinato a rompersi?

Penso che potrebbe sopravvivere anche dopo le europee.

Che cosa glielo fa pensare?

Non credo ci siano reali incentivi a rompere, per nessuno dei due azionisti. Per il M5s sarebbe razionalmente un po’ difficile tornare al governo con uno schema diverso da quello di oggi e per la Lega non è affatto chiaro cosa succederebbe dopo, non è affatto chiaro che poi si andrebbe a elezioni e non è affatto chiaro, qualora si tornasse alle urne, che Salvini potrebbe mantenere tutto il suo consenso tornando insieme al resto della coalizione di centrodestra. Insomma, ci sono troppe incognite.



Da qui al voto di fine maggio come potrebbe muoversi il consenso della Lega? E’ ancora in forte crescita?

La Lega è molto stabile, come mostra la nostra Supermedia settimanale, da inizio anno. Ha avuto un picco sopra il 33% a fine febbraio-inizio marzo, adesso sta al 32,6%. Sostanzialmente oscilla tra il 31 e il 33% da gennaio, quindi non c’è una tendenza di così forte crescita. Molto più semplicemente credo che la Lega abbia sfruttato già una forte propulsione, forse senza precedenti nella storia elettorale del nostro Paese. E non si può crescere all’infinito.

Il M5s, al contrario, negli ultimi mesi ha subìto una costante erosione. E’ destinata a durare?



Anche l’ultima nostra Supermedia ha registrato la caduta dei consensi del M5s: oggi è al 21,6% che è il minimo storico del Movimento da quando abbiamo iniziato le nostre rilevazioni nel 2013, dalle politiche di sei anni fa. In parte la flessione è certamente intrecciata con il risultato del Pd, che ha visto un rimbalzo subito dopo l’arrivo alla leadership di Zingaretti, che ha esercitato un certo appeal su una parte dell’elettorato di sinistra andato ai 5 Stelle. Anzi, una delle grosse domande in vista del voto del 26 maggio riguarda proprio M5s e Pd: chi di loro sarà il secondo partito? Sul primo, infatti, ci sono pochi dubbi. Sarà una bella sfida.

Il centrodestra unito, intanto, ha conquistato una regione dopo l’altra. E’ il segnale che questa è la coalizione oggi preferita dagli elettori italiani?

Sì. E infatti anche nei sondaggi nazionali, oltre che nelle regionali, se andiamo a sommarli, i partiti del centrodestra oggi stanno intorno al 47%. E’ nettamente la prima coalizione, visto che la seconda, cioè il centrosinistra, è poco sopra il 23%, tenendo dentro tutte le listerelle. E la conferma arriva anche dalle simulazioni che abbiamo fatto sul Rosatellum: un centrodestra unito vince in quasi tutti i collegi, tanto da avere una grande maggioranza dei seggi, più di 380 alla Camera, cioè oltre il 60%. Però c’è una condizione: che la Lega mantenga il consenso attuale anche tornando a uno schema di centrodestra tradizionale. E questo non è scontato.

In effetti per Salvini questa formula non è più valida. Dipende dal fatto che nel centrodestra c’è ancora la figura ingombrante di Berlusconi con il suo zoccolo duro di elettori, valutabili intorno all’8-10%? Ed è un elettorato a cui punta anche Salvini?

Sì, da un lato c’è una leadership, quella di Berlusconi, che è lontana dal suo picco, ma resta comunque rilevante. Dall’altra, la scommessa di Salvini, in parte già vinta, è quella di “salvinizzare” il centrodestra, di renderlo cioè a propria immagine e somiglianza. Salvini punta a diventare la figura di riferimento di quel mondo, marginalizzando i due partiti di contorno, Forza Italia e FdI. Ma non c’è solo la leadership di Berlusconi.

Ci sono altri motivi che spingono Salvini a non tornare nel centrodestra?

Sono due le criticità. La prima: anche a livello di percezione, questo governo è un governo di rottura, di discontinuità, che permette a Salvini di presentarsi come esponente di una stagione nuova, diversa da quelle che hanno caratterizzato finora la storia politica italiana. Uno schema di centrodestra sarebbe invece percepito come molto più vecchio, classico e tradizionale, con il rischio di frenare un po’ la spinta di cui gode Salvini.

E la seconda motivazione?

E’ più strettamente politica: se oggi Salvini, con la metà dei seggi dei 5 Stelle, può dettare l’agenda su molti temi, non sono convinto che potrebbe imporla con la stessa efficacia dovendo negoziare giorno per giorno con Berlusconi e con i colonnelli di Forza Italia, che hanno maggiori capacità di M5s di far pesare i propri voti in Parlamento.

Salvini potrebbe allora avere interesse a calamitare gli elettori più moderati del centrodestra, che oggi si riconoscono ancora in Berlusconi?

Una parte l’ha già conquistata. Essere arrivato al 32%, vuol dire che almeno un 10-15% dell’elettorato non è leghista in senso classico. E questa fetta di elettori, che solo cinque anni fa avrebbe votato per Berlusconi, oggi sta con Salvini perché lo identifica come la figura centrale di una coalizione di centrodestra. Ovviamente non ha ancora preso il consenso di tutta quella parte, e qui sta la scommessa futura di Salvini: riuscire ad assorbire quel che rimane del centrodestra.

Con quali armi?

Dal punto di vista comunicativo, Salvini utilizza una pluralità di registri. C’è certamente il Salvini incendiario, aggressivo, sopra le righe e non convenzionale che vediamo sui social, ma c’è anche il Salvini televisivo, che adotta linguaggi molto più concilianti, moderati, di buon senso. Come sottolineiamo nel libro Fenomeno Salvini, uscito recentemente e che analizza la comunicazione del leader leghista, lui utilizza molto la cosiddetta retorica del buon senso. Cerca, cioè, di far passare come misure di normalità le proprie azioni politiche. E in questo vedo una sua capacità di parlare a un mondo che non è necessariamente di destra o di destra radicale, ma più moderato. Basti pensare alla misura annunciata della flat tax, che va in quella direzione: parlare a quell’elettorato classico, a quella classe media moderata di centrodestra molto sensibile al tema fiscale. Tutt’altro discorso, poi, sarà riuscire a realizzare la tassa piatta, viste le condizioni della nostra economia.

Il Pd ha chance di risalita in vista delle europee?

Il Pd ha avuto un buon rimbalzo dopo le primarie, che adesso sembra un po’ riassorbito, e si è molto avvicinato ai 5 Stelle. Fare previsioni sul trend futuro, è difficile. Credo che la scommessa di Zingaretti sia cambiare un po’ partita.

In che senso?

L’idea è costruire un’offerta politica che non ruoti solo attorno al Pd, ma che sia un po’ più larga, includendo più soggetti, da +Europa a Pizzarotti, dalla sinistra ai Verdi. La scommessa, quindi, si vedrà non tanto dal dato del Pd, quanto dalla capacità di tenere uno schema di coalizione che possa essere competitivo.

Oggi non lo è ancora?

Abbiamo visto alle regionali alcuni esponenti del Pd quasi esultare di fronte al 30% di consensi in Regioni che fino al giorno prima governavano. Pensare di esultare con questi numeri mi pare un po’ avventato. La sfida di Zingaretti sta lì, nel creare una coalizione più inclusiva.

A questo punto il M5s si trova sempre più stretto in una tenaglia: da una parte, c’è l’Opa di Salvini, che da mesi sta rubando elettori, e ora dall’altra si profila il progetto di Zingaretti, che potrebbe eroderne i consensi da sinistra. I 5 Stelle rischiano la scissione, soprattutto se alle Europee dovessero scendere sotto il 20%?

Nessuno ha la sfera di cristallo, difficile fare previsioni. La forza dei 5 Stelle è sempre stata quella di saper parlare a pezzi diversi dell’opinione pubblica e dell’elettorato, sia a destra che a sinistra. Oggi questa sua natura duale, di partito autobus, su cui si sale per fare un pezzo di strada, poi si scende e poi si risale, adesso può diventare un limite.

Perché?

Perché il M5s è al governo e governare pone sempre di fronte alle scelte politiche, che non si possono eludere. Credo che il M5s stia vivendo una pressione esterna, da sinistra e da destra, ma anche interna, tra il livello istituzionale, più governativo, e il livello più militante e attivista, che era poi il nucleo originario del Movimento.

Secondo lei, visto il suo cattivo andamento, potrebbe essere l’economia la causa che può portare a elezioni anticipate già in autunno?

Magari sì, ma a che pro? Perché andare a votare in autunno, che tra l’altro renderebbe molto più complicata la gestione della Legge di bilancio? Tutto è possibile, ma non vedo un beneficio certo per chi volesse andare a elezioni anticipate. Rischieremmo di riaprire una nuova fase di incertezza e di ritrovarci di nuovo punto e a capo.

(Marco Biscella)