Virgolettati di giornata. Di Maio: “tangenti ovunque”. Ancora Di Maio: “la scelta è tra M5s e nuova Tangentopoli”. Cantone, presidente dell’Anac: “Una parte del paese vuole lavorare e vivere con le tangenti”. A meno di dieci giorni dal voto europeo, fioccano arresti e avvisi di garanzia ad esponenti di Forza Italia e Lega: ieri sono stati arrestati il sindaco leghista di Legnano, il suo vice di FI e un assessore. Rino Formica, 92 anni, ex politico socialista, è una memoria vivente della prima repubblica. Per Formica M5s e magistratura si ritrovano alleati nell’instaurazione di un sistema teocratico, quello dell’Onestà. Gli altri partiti possono evitarlo, ma devono rimescolare le carte.
Rino Formica, che cosa sta succedendo?
Il sistema politico e istituzionale del paese si sta disgregando. Si badi: è un processo di lungo periodo, che occupa gli ultimi 25 anni. Accade quando le istituzioni non svolgono più il loro ruolo, quello di essere contenitori democratici della dialettica degli interessi, generali e particolari.
Sembra di assistere a una seconda Tangentopoli. I pm fanno politica?
Non direi così. M5s nasce come espressione organizzata del dissenso diffuso e contraddittorio che c’è nella società. Qui emerge però il suo peccato d’origine. Le mille poteste muovono la piazza, ma non creano di per sé una struttura istituzionalmente capace di portare un equilibrio, un ordine, una visione realizzabile.
E la magistratura?
M5s e magistratura sono simili nella limitazione del fine politico. La magistratura non può non svolgere il suo ruolo, che è quello di colpire quelle che dal punto di vista penale sono responsabilità personali. Non ha come obiettivo quello di risolvere crisi di sistema. E infatti ad ogni sospetto o accusa di agire con finalità politiche ogni magistrato risponderà, senza paura di essere smentito, di avere fatto solamente il suo lavoro. Chi esiste per mantenere o correggere il sistema sono i partiti politici. Ma M5s è sprovvisto di fine politico, perché il fine politico è la gestione dell’interesse generale nella ricomposizione dei conflitti di parte.
Un paradosso. Un partito come M5s, con 221 deputati e 122 senatori, non ha un fine politico.
Non ce l’ha. E quando dichiara di non essere né di destra né di sinistra dice, senza saperlo, di non essere una forza politica. Essere di destra o di sinistra significa avere la capacità di decidere scegliendo. Anzi, di esistere solamente in virtù di tale scelta. Se dico “non sono né di destra né di sinistra” dico implicitamente “io non scelgo”, ovvero “non sono un politico”.
Nella sua autobiografia politica, ripercorrendo gli eventi di Tangentopoli, si dice che “convergevano, in un buco nero di collasso generale, la passività delle forze politiche e in senso opposto l’iperattivismo di forze esterne”. Esiste la possibilità che M5s, come organizzazione a-politica, non decidente sulle questioni sostanziali, faccia gli interessi di qualcun altro?
Certo. Lo fa indirettamente: creando il vuoto, consente a forze esterne di inserirsi. Nel caso italiano, sono forze che disgregano la funzione dell’Italia all’interno di un sistema attualmente in fase di scomposizione e alla ricerca di una ricomposizione, il sistema-Europa. Meglio: sono interessate ad utilizzare il caos italiano per creare una condizione di caos europeo.
Sta parlando dell’America di Trump?
Non solo. Le forze interessate alla disgregazione europea sono in tutto il mondo. Quando è finita la gestione bipolare del mondo Usa-Urss, a farla da padrone è stato l’unilateralismo americano. Ma la globalizzazione ha imposto nuovi centri di aggregazione degli interessi geopolitici di vaste dimensioni.
Secondo lei qual è la chiave di lettura di queste elezioni europee?
Non siamo chiamati a scegliere per l’Europa o contro l’Europa, ma tra l’Europa come appendice euro-asiatica, e quindi appendice disgregata, e l’Europa come soggetto che ritrova una sua funzione euro-atlantica. Per fare questo, l’Unione Europea deve trovare una sua autonomia, passare da una posizione euroatlantica gerarchizzata a una posizione di parità nell’alleanza euroatlantica.
E in che modo?
La grande domanda è come vivere l’euroatlantismo di domani. Nel dopo-Yalta l’Europa ha goduto di una situazione di privilegio: ha avuto meno peso politico, ma le è stato risparmiato il conto salato di una politica estera e di difesa dell’alleanza euroatlantica. Per essere alleata a parità di sovranità, le occorre una capacità autonoma di difesa. Con i relativi costi.
Mi pare la cornice esatta del trattato di Aquisgrana tra Germania e Francia.
È così. Oggi tenere in ordine i conti europei non si giustifica tanto sul piano di una stabilità di carattere economico, ma con la necessità di avere una politica estera basata su una politica autonoma di difesa. Che, ripeto, ha costi altissimi.
Torniamo all’Italia. La questione morale può essere un rimedio alla disgregazione politica?
Quando in politica si ricorre alla questione morale vuol dire che non si hanno più soluzioni politiche. Anzi, la semplice posizione della questione morale è già aver attraversato la soglia tra ideologia e religione. Vuol dire che siamo allo Stato religioso.
Uno Stato dell’onestà. A conduzione M5s o delle toghe poco importa.
Cosa sono in definitiva i sistemi teocratici? Sono sistemi non politici, dove le ragioni politiche non contano, contano gli atti di fede. Quando si ricorre agli atti di fede andiamo indietro nella storia europea di molti secoli. Ma la fede non c’è più. Ci sono altre strade per smantellare la ricerca di soluzioni politiche: i luoghi comuni.
Ad esempio?
Uno dei più frequenti è la mancanza di alternative. Una variante di quello che ascoltammo dopo la caduta del fascismo: il salto nel buio. Un espediente degli immobilisti e dei continuisti con il passato. Invece il salto nel buio ci diede la repubblica e la nuova Costituzione.
Come si fa a produrre l’alternativa?
Abbandonando il totem della continuità. La crisi di sistema richiede di ragionare in termini di rottura.
Il partito continuista per eccellenza è M5s. Gli altri sono capaci di costruire un’alternativa?
Potrebbero, ma hanno bisogno di molto tempo. Per accelerare, sarebbe necessaria in Europa una discontinuità forte ma non assoluta. Bisognerebbe che il socialismo europeo non fosse sconfitto e che il Ppe non fosse costretto ad un’alleanza con la destra.
C’è un problema: la vecchia coalizione Pse-Ppe ha fallito. Questa Ue è il suo prodotto.
Quel patto va riformato. Non attraverso una ricomposizione statica dell’alleanza tradizionale, ma mediante un rinnovamento delle culture democratiche europee, quella dei popolari, dei socialisti, dei liberaldemocratici e dei verdi. Se queste forze si troveranno a non avere delle maggioranze precostituite già assegnate, vedranno un forte riformismo di cultura politica. Allora l’Europa potrà entrare in Italia.
Altrimenti?
Altrimenti sarà il caos italiano a entrare in Europa.
(Federico Ferraù)
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