Conosco da diverso tempo l’associazione Due minuti per la vita, che opera nel settore pro-life anche attraverso il prodigioso strumento della preghiera. Chi si occupa di difesa della vita conosce bene l’impegno encomiabile dei suoi membri. Per tale ragione diventa ancora più odiosa l’incredibile censura cui sono stati sottoposti da parte di Wikipedia, la virtuale enciclopedia soi-disant libera.



Lo scorso 5 giugno, infatti, la voce dedicata all’associazione Due minuti per la vita è stata rimossa in quanto ritenuta di «contenuto palesemente non enciclopedico oppure promozionale». Entrambe le contestazioni risultano infondate.

Per quanto concerne l’aspetto della “promozione”, è lo stesso regolamento di Wikipedia a prevedere la cancellazione di pagine o immagini promozionali, solo quando esse siano «costituite unicamente da collegamenti esterni (comprese Wikipedia in altre lingue) e/o spam che reclamizzino prodotti, servizi o persone». La voce dedicata a Due minuti per la vita – che era visibile prima della censura – si limitava a illustrare la realtà dell’organizzazione senza alcuna finalità di proselitismo. Erano esposti l’origine, lo scopo, la preghiera proposta, l’attività, le collaborazioni proprie dell’associazione, in ossequio ad un beninteso diritto-dovere di informazione.

Per quanto riguarda il requisito dell’enciclopedicità, il discorso si fa più interessante. Sempre il regolamento di Wikipedia, infatti, afferma che «enciclopedicità non vuol dire necessariamente notorietà al grande pubblico, ma certamente vuol dire notorietà nel proprio campo, già acquisita prima di andare su Wikipedia». In merito a questo punto, Due minuti per la vita ha tenuto a precisare come tale presupposto fosse posseduto fin da «quando ancora non era organizzata nella forma associativa», e poi quando, «in maniera sempre più organica, ha trovato il proprio ruolo tutt’altro che insignificante all’interno dal variegato e poliedrico arcipelago dell’associazionismo pro-life italiano».

La stessa associazione ha ribadito che «l’opera di diffusione capillare del materiale informativo a singoli, famiglie, parrocchie, congregazioni religiose, eccetera, ha, infatti, indubitabilmente determinato la conoscibilità e l’effettiva conoscenza dell’associazione e dell’omonima iniziativa di preghiera in difesa della vita. A ciò si sommano gli apprezzamenti per l’iniziativa manifestati dal Santo Padre Benedetto XVI (lettera del 6 aprile 2008), da Mons. Rino Fisichella, Presidente della Pontifica Accademia per la Vita (lettera del 28 novembre 2008), nonché da alcuni Arcivescovi ed Vescovi italiani».

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E proprio qui sta il punto. Il mondo del cyberspazio sembra avere una particolare idiosincrasia per tutto ciò che non corrisponda ai criteri del politically correct, soprattutto quando la posizione controcorrente è dettata da un giudizio cristiano.

 

Ricordo che due anni fa, nell’aprile 2008, affiancai gli amici di The Christian Institute, organizzazione britannica pro-life, nella battaglia legale intentata contro Google, il gigante di internet, per il suo rifiuto di pubblicare un comunicato in tema di aborto. Google si oppose alla pubblicazione sull’assunto che la sua politica editoriale non riteneva opportuna la diffusione nei siti internet di comunicati che «correlassero il tema dell’aborto a considerazioni di natura religiosa». The Christian Institute incaricò i propri legali di promuovere un’azione contro Google sulla base della violazione dell’Equality Act, una legge britannica del 2006 che vieta ogni forma di discriminazione religiosa.

 

In quell’occasione fu davvero paradossale constatare come Google, che da sempre si proclama impegnato nella diffusione degli ideali di libertà di pensiero e di libero scambio di idee, abbia censurato il comunicato in questione definendone il contenuto «inaccettabile». A seguito di quell’azione giudiziaria, Google concluse una transazione stragiudiziale e accettò di rivedere la propria posizione, autorizzando The Christian Institute e ogni altra associazione religiosa a pubblicare comunicati connessi alle proprie finalità associative in tema di aborto. È servito ricorrere ai magistrati per ottenere quel risultato.

 

Anche i cybercensori di Wikipedia, che amano mostrarsi illuminati e tolleranti rispetto a molte discutibili voci presenti sul sito, quando hanno a che fare con giudizi religiosi su questioni fondamentali dell’uomo – come la vita e la morte – si trasformano improvvisamente negli occhiuti funzionari dello “Scudo Dorato”, il famigeratojindun gongcheng, quello strumento con cui il governo comunista cinese controlla e censura internet. Questo lo hanno sperimentato, a loro spese, gli amici di Due minuti per la vita, con la loro surreale vicenda della cancellazione.

 

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Tra l’altro, chi volesse verificare di persona la faziosità di Wikipedia, la disparità di trattamento e il concetto strabico di libertà che possiede tale organizzazione, potrebbe dare un’occhiata allo spazio e al rilevo che la stessa “libera enciclopedia” ha riservato alla voce U.A.A.R., Unione Atei e Agnostici Razionalisti. Sono 3.600 le parole dedicate a quell’associazione, e comprendono anche la promozione delle bislacche e risibili iniziative degli atei di casa nostra, tra cui lo sbattezzo, l’ateobus, l’occhio per mille, l’esperimento di riproduzione della Sindone e scempiaggini simili. Non ne cito altre perché non voglio prestarmi indirettamente a forme di pubblicità e promozione. Lascio volentieri questa incombenza a Wikipedia.

 

Il punto è che per l’U.A.A.R. non valgono i regolamenti wikipediani, anche perché quell’organizzazione è protetta da forti padrinati, a cominciare dai presidenti onorari, tra cui spiccano i nomi di Carlo Flamigni, Margherita Hack, Piergiorgio Odifreddi, Sergio Staino, e compagnia laicheggiante.

 

Qui sta la differenza con Due minuti per la vita, che può vantare soltanto l’apprezzamento scritto di tale Joseph Ratzinger, detto anche Benedetto XVI. Troppo poco per gli “enciclopedici” di Wikipedia.