La potentissima lobby cultural-affaristica del condom non si ferma neppure di fronte allo sport. Anzi, proprio il campionato mondiale di calcio in Sudafrica ha rappresentato un ottimo pulpito per proclamare al mondo il verbo della contraccezione. In contrapposizione, peraltro, con il retrivo e oscurantista Benedetto XVI.
Per non essere da meno, la Gran Bretagna ha primeggiato in generosità, inviando nell’ex colonia ben 42 milioni di preservativi, da utilizzare in occasione della World Cup. Sono 160 mila i condom che verranno distribuiti gratuitamente ai propri ospiti da un gruppo di hotel di Cape Town, accompagnati da uno slogan allusivo: «play it safe» (gioca sicuro).
Lo stesso ministero della Salute del governo sudafricano ha avviato la distribuzione di preservativi nelle camere di circa 100 hotel in tutto il Paese per promuovere il sesso sicuro, stando a quanto affermato da Kai Crooks-Chissano, project manager per il 2010 della South African Business Coalition on HIV/AIDS. Due preservativi per camera d’albergo ogni notte, è questo il piano governativo.
Anche l’amministratore delegato dell’Ente del Turismo di Cape Town, Mariette du-Toit Helmbold, ha voluto rivendicare la propria competenza in materia di contraccezione, avendo candidamente dichiarato di essere «ben consapevole che l’attività sessuale è parte integrante di una vacanza».
Il Sudafrica, però, non è stato invaso solo da normali preservativi per uomini. Anche quelli femminili hanno fatto la loro parte. La Female Health Company, infatti, ha annunciato di aver ricevuto un ordine per 3,5 milioni di FC2 Femidom, il preservativo rosa, che la ferrea logica dell’eguaglianza tra i sessi non poteva far mancare alle donne.
Il micidiale mix di dogmatismo e business che ruota attorno al condom è riuscito ad avere la meglio anche sull’altrettanto potente lobby calcistica della FIFA. In un primo momento, infatti, la Federazione si era opposta alla pubblicità e alla distribuzione gratuita dei preservativi negli stadi. Non certo per motivi etici, ma per questioni assai più prosaiche legate a sponsorizzazioni e licenze.
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Dinnanzi, però, allo strapotere ideologico-finanziario della lobby della contraccezione e di fronte alla minaccia di una scomunica da parte della chiesa del politically correct, la FIFA ha visto bene di fare marcia indietro. Tramite un comunicato ufficiale ha puntualmente smentito di aver bloccato le benemerite attività finalizzate alla lotta all’AIDS, e ha dichiarato, anzi, che aprirà proprio a Cape Town, in Sudafrica, il primo “centro della speranza”, il Football for Hope Khayelitsha Center, dove per la prima volta il calcio sarà usato come una scuola per i bambini, affinché vengano istruiti su come evitare il contagio dall’AIDS.
Nello stesso comunicato la FIFA ha inoltre dichiarato che non solo non si opporrà alla distribuzione gratuita di preservativi in Sudafrica durante i mondiali, ma che, al contrario, sarà un testimonial di tale iniziativa, avendo già predisposto appositi punti di distribuzione di medicine di base, creme contro le ustioni solari e profilattici. Tutto gratis, ovviamente. Per farsi perdonare, la stessa FIFA ha anche dichiarato che durante le partite farà trasmettere, attraverso i megaschermi, appositi spot pubblicitari sulla prevenzione dell’AIDS e sulla promozione dei preservativi.
Solamente lo strapotere ideologico ed economico che ruota attorno alla contraccezione poteva scuotere l’imperturbabile “neutralità” etica della FIFA. Quella “neutralità” che per impedire al giocatore cattolico Wayne Rooney di portare la croce al collo durante le partite, aveva fatto dire a Mark Whittle, capo delle relazioni pubbliche della stessa FIFA: «Qui non ci occupiamo di religione». L’ossessione del condom – quando non è business – è pura ideologia. E quando l’ideologia acceca, si finisce per non vedere più la realtà.
Nonostante sia sommerso da una proluvie di preservativi, il Sudafrica detiene il triste primato della velocità di diffusione del virus HIV. Nonché quello del numero dei malati e dei morti per AIDS.
Ogni anno il governo sudafricano distribuisce 450 milioni di condom, e malgrado ciò, oggi in quel Paese vi sono 5,7 milioni di sieropositivi, su una popolazione di 47 milioni di abitanti.
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Il bilancio quotidiano è da bollettino di guerra: circa 1.400 persone al giorno contraggono l’infezione, mentre il numero dei decessi per HIV si attesta attorno al migliaio. Se poi si considera che il 30% circa delle donne in stato di gravidanza è affetta da AIDS, l’idea di una generazione sudafricana completamente libera da questo micidiale morbo appare quasi utopica.
Come si fa a non capire che dinnanzi a questa colossale tragedia, che investe un intero popolo, la soluzione non può essere semplicemente quella del condom? In un Paese in cui lo stesso Presidente della Repubblica, Jacob Zuma, è un poligamo e convinto assertore della promiscuità sessuale, forse il problema è innanzitutto di natura culturale. I 42 milioni di preservativi britannici, uniti agli altri milioni già circolanti in Sudafrica, non sono in grado di rappresentare, purtroppo, la mitica panacea.
Anche nel mondo laico qualche testa pensante sta riconsiderando la questione, e comincia timidamente a parlare della necessità di «percorsi educativi», di «sessualità responsabile», di «autocoscienza». Sono, però, cauti sussurri, parole appena bisbigliate, perché – ahimè – sono le stesse usate dal Papa nell’ormai celebre intervista rilasciata al giornalista Philippe Visseyrias di France 2, durante il suo viaggio in Africa. Quelle parole per cui i sommi sacerdoti del politically correct hanno urlato al mondo: Anathema sit!