La Scozia è ormai considerata il “cannabis garden” d’Europa. Sono state recentemente scoperte e sequestrate altre 18 piantagioni illegali.
Da quando è partita nel 2006 l’operazione di polizia denominata Operation League, sono state arrestate più di 300 persone (tre quarti delle quali erano di nazionalità cinese), distrutte 275 piantagioni, estirpate più di 128,000 piante, ciascuna capace di produrre 300 sterline di cannabis, per un valore complessivo di circa 40 milioni di sterline. La polizia sostiene che, nonostante i risultati di questi blitz, ciò che si conosce rappresenti soltanto la punta di un iceberg, tanto è profondo e radicato il fenomeno.
Anche sulla qualità della materia prima non mancano aspetti preoccupanti. A causa dell’elevato grado di THC (Delta-9-Tetraidrocannabinolo), infatti, la cannabis oggi coltivata nelle piantagioni scozzesi risulta assai potente e pericolosa.
Secondo Stephen Whitelock, Detective Chief Superintendent e capo della SCDEA, gruppo d’intelligence che si occupa del traffico di stupefacenti, la differenza tra questa nuova versione di cannabis e quella che fumavano gli hippy negli anni ’60, è la stessa che corre tra un bicchiere di purissima vodka ed uno di limonata annacquata.
Resta il fatto allarmante che il fenomeno degli stupefacenti è in fase di espansione.
Se diventa ogni giorno più chiara la gravità della diffusione delle droghe, meno chiare sono le vere cause di questa pandemia. A chi volesse approfondire il tema, consiglio la lettura di un buon libro intitolato “Storia moderna della droga – Dalle utopie alla realtà” (Ed. Pagine, 2010) di Fabio Bernabei, giornalista e scrittore esperto di politiche sociali sulla tossicodipendenza.
Fin dalle prime pagine di quel libro si può comprendere come esista una data di inizio della diffusione di massa delle droghe, e come si possano individuare precise responsabilità a tal proposito. La storia parte dagli anni ’50, quando la Beat Generation, laboratorio della rivoluzione che esploderà nel ’68, sfida il proibizionismo, ma soprattutto la condanna, morale e civile, che considera l’assunzione di droghe, per uso non medico, incompatibile con il rispetto della dignità dell’uomo. Si tratta di una vera e propria sfida culturale.
Interessante è scoprire, poi, come il moderno pensiero relativista individui nelle politiche sulle sostanze psicotrope uno degli elementi per l’attuazione di un cambiamento radicale della società umana, e Allen Ginsberg (Beat generation), come William Burroughs (Movimento hippy), Timothy Leary (Rivoluzione psichedelica) e George Soros (Guerra alla guerra alla droga) non si sono certo nascosti. Al contrario.
Proprio da quello che hanno scritto possiamo comprendere, ad esempio, perché Allen Ginsberg abbia viaggiato per mesi nella giungla sudamericana allo scopo di scovare piante psicoattive e promuoverle tra gli studenti delle università, o perché Timothy Leary abbia sintetizzato droghe psichedeliche per far deragliare i sensi dell’assuntore e ricreare, con nuove coscienze singole e collettive, un uomo nuovo e una nuova società.
La lezione che possiamo imparare, grazie al libro di Bernabei, è che la droga non conosce il successo per la forza di bande criminali o per gli effetti psicotici delle sostanze che la compongono, ma per via dello spaccio di ideologie nichiliste da parte di veri Maestri dell’Assurdo, come opportunamente li ha definiti il Servo di Dio Giovanni Paolo II. La tossicodipendenza rappresenta l’incontrollabile rincorsa del piacere ad ogni costo, in un orizzonte esistenziale di disperato individualismo e di tragico nichilismo.
Per combattere il flagello delle droghe non bisogna tanto puntare alla denuncia delle sue conseguenze nefaste sulla salute. Ciò non ha più alcun effetto deterrente nell’attuale cultura nichilista. E’ invece necessario che ai Maestri dell’Assurdo si oppongano i Maestri della Ragione, capaci di proporre una vita piena di bellezza e di gusto, una vita che sia apertura totale e leale alla realtà, una vita che sia seria di fronte al destino, perché consapevole di avere un compito ed un significato ultimo da raggiungere.
Servono veri educatori, capaci di contrastare il tentativo di stordimento esistenziale dell’uomo contemporaneo.
Anche la droga, in fondo, è un efficace strumento per censurare le domande fondamentali dell’uomo sul significato della vita e della morte. In questo senso, ricorda quel passo dell’Enrico IV, la celebre tragedia shakespeariana, in cui Dora, dopo aver invitato Falstaff ad interrogarsi sulla serietà della propria esistenza e a «rattoppare il suo vecchio corpo per il cielo», si sente rispondere: «Zitta mia buona Dora, non parlare come una testa di morto, non rammentarmi la mia fine». Questo atteggiamento sembra ormai rappresentare il massimo della saggezza per gli uomini d’oggi.
E la droga è uno dei tanti mezzi con cui si tenta di evadere l’impellenza degli interrogativi esistenziali, attraverso il momentaneo ed illusorio trasferimento nella falsa dimensione di un “paradiso” artificiale, destinato a trasformarsi in un inferno reale.
In questo senso possiamo dire, parafrasando lo scrittore polacco Kazimierz Brandys, che una dose di eroina, una striscia di cocaina, una canna di marijuana contengono la percentuale desiderata di irrazionale.
La soluzione, però, non è mai fuggire la realtà. Semmai, è quella di abbracciarla interamente, nella totalità dei suoi fattori, attraverso un uso intelligente e profondamente umano della ragione.