I cinque nuovi martiri del lavoro ci ricordano che dobbiamo fare ancora molto perché il lavoro sia sicurezza di vita e non a rischio della vita. La tragedia di Brandizzo ha coinciso con l’avvio del nuovo sistema informativo che servirà da supporto per seguire percorsi formativi e di riqualificazione per gli “occupabili” già beneficiari del reddito di cittadinanza (Rdc) e con i dati mensili di luglio sul mercato del lavoro elaborati dall’Istat. Si pongono così tre temi che riguardano strutturalmente il nostro mercato del lavoro e che dovrebbero essere in cima alle priorità della legge di bilancio e degli obiettivi occupazionali perseguiti con i fondi del Pnrr.



Sulla sicurezza del lavoro appare evidente che l’impatto possibile con nuove tecnologie e più risorse dedicate alla vigilanza preventiva va potenziato e soprattutto organizzato in modo diverso. La ricerca del colpevole contro cui scagliare nuovi reati penali può rispondere all’umano spirito di vendetta, ma non aumenta né la sicurezza sul lavoro né la capacità di fare giustizia. L’impegno delle forze sociali deve puntare ad avere ispettorati che vigilino sul rispetto delle norme sulla sicurezza e sulla regolarità dei rapporti di lavoro in modo preventivo e continuo. Verificare i risultati deve diventare il metodo di controllo dell’efficacia dei servizi messi in campo, rompendo una tradizione che privilegia i sistemi burocratici alle verifiche sul campo. Avere meno vincoli formali ma più verifiche di efficienza ed efficacia significa scommettere su più responsabilità per i soggetti sociali coinvolti. È una sfida aperta per la politica ma soprattutto per le rappresentanze sociali e sindacali, che possono esercitare un nuovo ruolo partecipativo. La nuova piattaforma che mette in relazione coloro che cercano percorsi di formazione per avere chance di occupazione con le posizioni lavorative scoperte può rappresentare una svolta per il sistema di politiche attive. Nasce per rispondere alla presa in carico di chi, potendo partecipare attivamente al mercato del lavoro, non ha più diritto al Rdc ma riceverà un contributo economico solo se impegnato in percorsi di formazione e di ricerca attiva del lavoro.



La rete di servizi sottostante vede impegnati assieme sia i centri per l’impiego pubblici che le agenzie per il lavoro. In poco tempo si registrerà una offerta di percorsi formativi e una mappa delle opportunità occupazionali che potrà essere la prima base nazionale per definire lo sviluppo delle politiche attive. La possibilità di mettere assieme le diverse esperienze di politiche del lavoro è oggi giunta a maturazione. Assieme a quanto previsto per gli ex Rdc continuano il programma Gol (Garanzia di Occupabilità per i Lavoratori), Garanzia Giovani e altri programmi per l’occupazione su base regionale. Possiamo poi inserire fra le politiche del lavoro i programmi formativi di upskilling e reskilling previsti dal Pnrr che vedranno coinvolti molti soggetti già impegnati nelle politiche del lavoro e i fondi interprofessionali.



I prossimi mesi permetteranno perciò di avere una pluralità di esperienze che toccano tutte le persone che hanno necessità di adeguare la propria occupabilità per mantenere l’occupazione o per cercare una nuova occupazione. Monitorando tutte le esperienze in corso e cercando di trarne una valutazione potremo disegnare finalmente un sistema universale di politica attiva del lavoro che diventi il modello del nostro Paese. Sarebbe il superamento di politiche spezzettate e di contributi economici che favoriscono politiche passive a scelte di proattivazione delle persone. Anche il sostegno economico alle persone disoccupate, certo modulato secondo la scala dei bisogni, potrà essere una forma universale riconosciuta a tutti coloro che saranno presi in carico dai sevizi al lavoro.

Passeremmo alla tutela del lavoratore rispetto alla tutela del posto di lavoro. Percorso che scontenta chi crede di vivere ancora nel sistema industriale del 900, ma indispensabile per tutelare il lavoro e il welfare del 2000. I dati del mercato del lavoro di luglio ci segnalano che dopo 6 mesi di crescita l’occupazione ha subìto una frenata. Nel mese si sono perduti 73mila posti di lavoro. Molti commenti di esperti segnalano che il calo del mese di luglio è abbastanza ricorrente. Così come succede a fine anno, anche a giugno finiscono molti contratti temporanei. Per capire se è un dato influenzato dalla stagionalità o è inizio di recessione dovremo aspettare i dati autunnali. Come ha già ben argomentato o su questa testata Gianpaolo Montaletti, questo dato mette al centro delle riflessioni sul nostro mercato del lavoro i dati strutturali di lungo periodo con ancora maggiore evidenza di prima.

Centrale per noi sarebbe la crescita del tasso di occupazione che resta di 10 punti inferiore al tasso europeo, ma soprattutto diventa per noi determinante per supportare la contribuzione per il sistema di welfare strettamente collegato ai versamenti legati a salari e stipendi. Come ci insegnano i grandi economisti, il sistema economico ci ha dato importanti strumenti utili per frenare (o come si dice, capaci di non far bere il cavallo) ma molti meno per accelerare la crescita (o costringere il cavallo a bere) Noi abbiamo però in corso un piano di investimenti di grande impatto anche per l’occupazione. Il tema principale del sistema Italia è una modernizzazione dei servizi, della Pa e delle Pmi che porti a incrementi importanti della produttività e alla creazione di posti di lavoro per una offerta di lavoro sempre più formata e in costante aggiornamento. In questa fase servono strumenti che sostengano la transizione.

Detassazione della crescita salariale legata alla produttività, misure di conciliazione vita e lavoro, supporto alla contrattazione aziendale e territoriale, partecipazione dei lavoratori alle decisioni di impresa. Certo, crescita salariale, che non può essere decisa per legge ma attraverso la contrattazione e più poteri alle rappresentanze anche per fissare un salario minimo. Rivedere anche i contratti che deviano dal rispetto delle regole di base. Tirocini e stages vanno sostituiti con contratti di lavoro. E sviluppare contratti di lavoro che tutelino i lavori che vi sono oggi. Come hanno insegnato la riforma Biagi ed il jobs act, le riforme che sostengono le forme di lavoro innovative favoriscono la crescita dell’occupazione e l’emersione di quote di lavoro nero. La continua manutenzione che richiede il settore del lavoro non è una concessione alla precarietà, ma il modo di assicurare le tutele a tutti i lavori e non solo a quelli che ci piacciono.

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