Malgrado lo “shock” esploso nel 2020 con la pandemia Covid-19 sia stata assorbito in tempi relativamente brevi, almeno dal punto di vista occupazionale (nel IV trimestre 2021 si è tornati ai livelli pre-crisi), nel mercato del lavoro del nostro Paese permangono alcuni mali storici: una produttività ferma da vent’anni, i salari più bassi di quelli di molti Paesi europei nostri “competitor”, una precarietà diffusa specialmente per donne e giovani e, infine, una costante crescita delle disuguaglianze e degli squilibri territoriali a partire, ad esempio, dal nostro Mezzogiorno.



Da questi presupposti parte l’interessante studio dell’Inapp, presentato nei giorni scorsi, sullo stato di salute del rapporto tra lavoro e formazione in Italia di fronte alle cruciali, e complesse, sfide del futuro, ma, per molti aspetti, del nostro presente.

Con riferimento al delicato tema delle politiche “attive” del lavoro, nel Report si sostiene che il godimento di “redditi” in caso di disoccupazione deve sempre essere condizionata e accompagnata dal coinvolgimento delle persone in percorsi di attivazione e formazione fino, auspicabilmente, al momento dello sbocco occupazionale.



In questo quadro emerge come il programma Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori (GOL) e il Piano Nuove Competenze rispondano, finalmente, all’esigenza di integrare le politiche del lavoro con le politiche formative, stando tuttavia attenti a rispettare le diverse particolarità del territorio nazionale.

Allo stesso tempo si sottolinea che, entrambe le misure, necessitano di alcuni miglioramenti e/o “aggiornamenti” per superare alcune criticità che stanno ovviamente emergendo come accade ogni volta che strumenti, per molti aspetti innovativi, sono chiamati a operare in cornici normative e istituzionali non sempre adatte e adeguate.



Si auspica, poi, un collegamento più strutturale, e organico, tra l’elaborazione di questi programmi e lo scenario evolutivo dei fabbisogni professionali delle imprese e dei diversi tessuti produttivi territoriali. Si ritiene, in questa prospettiva, quindi, auspicabile un maggiore coinvolgimento nelle fasi progettuali e attuative di tutti i soggetti pubblici e privati operanti nel campo della formazione e delle politiche del lavoro.

Consigli, insomma, certamente utili, sebbene forse non richiesti, che il Governo dei “Patrioti” potrebbe, e dovrebbe, fare suoi per impostare una possibile riforma, ma non rivoluzione, del delicato settore, per il nostro Paese, delle politiche del lavoro che è, altresì, tradizionalmente, oggetto di continue modifiche, operate dai diversi Governi, spesso messe in campo per ragioni prioritariamente “identitarie” e/o per mostrare una non necessaria discontinuità.

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