Con la partenza del nuovo anno la ministra del Lavoro ha illustrato i primi risultati delle politiche attive avviate per rispondere al ritardo che il Paese aveva in questo settore. Lo strumento del Supporto per la formazione e il lavoro, 350 euro mensili, riguarda disoccupati con determinate condizioni economiche e sociali. Riguarda anche gli occupabili che ricevevano il Reddito di cittadinanza e gli occupabili presenti in nuclei famigliari con Reddito di inclusione.
Il sistema avviato a settembre per i primi accessi e poi entrato a regime nei mesi successivi prevede la registrazione della persona che si candida alla domanda di sostegno, la valutazione e orientamento a cura dei Centri per l’impiego, un sistema informativo che raccoglie i posti di lavoro disponibili, l’offerta di corsi di formazione e di progetti di utilità collettiva avviati dalle amministrazioni pubbliche del territorio.
L’accesso alla domanda del nuovo strumento per l’accompagnamento al lavoro è stato fatto da 160mila persone. Di queste sono già state accolte 56mila domande. Fra tutti quelli che si sono candidati figura solo il 20% dei fruitori del Reddito di cittadinanza che risultavano occupabili. L’indagine per capire se sono persone che si sono nel frattempo impiegate o se invece sono scivolate nel lavoro irregolare è stata avviata, ma non vi sono ancora i risultati.
Per quanto riguarda quanti già ammessi ai percorsi previsti nell’ambito del supporto, 24mila già fruiscono dell’assegno mensile, abbiamo già 11mila occupati. Ricordiamo che per i partecipanti alla proposta di supporto è obbligatorio seguire quanto concordato in sede di presa in carico da parte dei Centri per l’impiego e che devono accettare un’offerta di lavoro a tempo indeterminato (le imprese hanno agevolazioni per l’assunzione di quanti arrivano da questi percorsi).
Sono invece 24mila le persone che stanno attualmente frequentando corsi di formazione in vista di poter rispondere a domande di assunzione, 2.600 hanno fruito dell’orientamento specialistico e in 1.600 sono stati impegnati in progetti di pubblico interesse avviati da amministrazioni comunali.
Il Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa, la piattaforma che raccoglie le offerte di lavoro e che è stata avviata assieme al sistema di supporto, ha raccolto la disponibilità di 150mila offerte da imprese con all’interno un numero di posti di lavoro superiore in quanto l’offerta di un’impresa è per più posizioni.
L’offerta di corsi di formazione (in totale ci sono 750mila posti a disposizione) è molto superiore alla capacità di utilizzo. Emergono qui alcuni problemi che interessano il sistema dei servizi al lavoro nel loro complesso. La delega alle regioni crea grosse disparità nell’efficienza dei servizi. Vi sono regioni che sono ancora senza partecipanti a corsi di formazione per le inefficienze del sistema formativo professionale, mentre in altre, dove il mercato del lavoro è più efficiente, abbiamo il problema di un sistema decisionale troppo centralistico. Avendo fissato numeri uguali per situazioni molto diverse si è ottenuto che nelle regioni più produttive, con meno disoccupazione ma con una richiesta di formazione più specializzata, diventa difficile (o inutile) raggiungere il numero minimo fissato dai regolamenti per la formazione di classi di formazione di determinate figure professionali.
L’assenza di flessibilità e dell’accettazione del principio di realismo conduce a creare modelli nazionali che diventano troppo stretti per alcune realtà ed esagerati per le atre. Se si vuole arrivare a un sistema capace di dare risposte sempre più personalizzate così come richiesto dai migliori modelli di politiche attive per il lavoro si dovrà superare il modello centralistico, ma anche mettere in atto leve di intervento per assicurare parità di diritti nei servizi al lavoro su tutto il territorio nazionale.
Questi primi dati del Supporto per la formazione ed il lavoro, soprattutto se guardati assieme all’esperienza del Programma Gol che sta proseguendo in tutte le regioni, consente di avviare una riflessione sul recupero del ritardo che l’Italia ha nel dotarsi di un sistema di politiche attive del lavoro. Va in primo luogo affermato l’obiettivo. Le politiche di sostegno al buon funzionamento del mercato del lavoro devono diventare misure universalistiche. Come il servizio sanitario, il servizio al lavoro è un pilastro fondamentale del nostro modello di welfare. Deve funzionare per sostenere le persone nella ricerca dell’occupazione ed essere anche un sistema efficiente per aiutare le imprese a trovare le professionalità necessarie per il miglior funzionamento del sistema produttivo.
Oggi noi arriviamo in ritardo e con un vizio ideologico che riduce le politiche per il lavoro e i servizi dedicati un sistema che si dovrebbe fare carico solo dei più poveri, con interventi dedicati e pensati solo per alcuni target senza così sviluppare un sistema che sia di sostegno per tutti e con differenti sostegni e servizi a seconda dei bisogni della singola persona. Queste prime esperienze fatte su grandi numeri e diffuse su tutto il territorio nazionale ci possono aiutare ad accelerare per definire un sistema universale e nazionale su cui poi attuare le politiche personalizzate per le persone prese in carico. Le esperienze che per prime sono state fatte per l’introduzione delle politiche attive del lavoro, penso al modello dote lombardo o al sistema del Veneto, ci dicono che serve flessibilità e che la strumentazione per avere servizi sempre più “su misura” del singolo sono a disposizione.
Il mercato del lavoro italiano sta ancora dando segni di crescita positiva. Nelle stesso tempo si ampliano le differenze fra lavori con buona specializzazione e quelli a bassa formazione. Il sistema economico reclama però un crescente mismatching e una crescente domanda di migliore formazione generalizzata e se la produttività dovrà crescere questa esigenza si farà ancora più forte. Per questo è adesso il momento per osare la costruzione di un modello di servizi al lavoro che universalizzi l’approccio alle offerte di formazione e di sostegno agli individui.
C’è bisogno di creare una rete di servizi che attivi insieme ai Centri per l’impiego le agenzie private e del no profit. Su questo bisogna cercare il consenso dell’Europa per un modello che deve essere virtuoso e cancellare i sospetti che sia un favore al mondo del privato. Questa è la sfida urgente cui deve dedicarsi la politica. Ci sia, però, insieme l’impegno di tutte le regioni per fare del 2024 l’anno dell’avvio di un sistema di servizi al lavoro e alla formazione efficace quanto efficiente.
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