In un futuro, ormai prossimo, i colloqui di lavoro (almeno nel caso del primo contatto) saranno quasi totalmente online, il disoccupato “tipo” dovrà costruirsi un suo personal branding sui social media, prepararsi bene a eventuali test psico-attitudinale fatti anche da assistenti virtuali, essere in grado di realizzare brevi Video CV, fare colloqui online e infine diventare lui stesso esperto nella ricerca del lavoro online.
I servizi al lavoro digitali stanno raggiungendo livelli di competenza sempre più complessi, ma fondamentali per il loro funzionamento (Strumenti per l’impostazione delle campagne SEM; Tool per la valutazione SEO; Criteri di definizione di canali, mezzi, target e KPI; ATS, Processo di determinazione delle keyword; Conoscenza di programmi utilizzati per l’estrazione di indirizzi e-mail direttamente dal Web; ecc.). Si tratta di ambiti multi-disciplinari che vanno dal data scientist a esperti in comunicazione digitale con esperienza nelle politiche attive del lavoro.
Tale digitalizzazione sta producendo una “polarizzazione” ancora più elevata tra lavoratori “top” (istruiti, qualificati, nativi digitali e con esperienza) rispetto ai soggetti più svantaggiati, i quali rischiano di essere ancora più esclusi da questo nuovo mercato del lavoro (esclusi fin da subito dalle ricerche o dai filtri inseriti dalle imprese). Se vogliamo dare delle piccole possibilità anche a questi soggetti, va creato un passaggio in più rispetto alla semplice formazione digitale o su come funzionano le piattaforme (ormai una commodity, ma senza una continuità nel tempo è molto difficile che possa dare dei risultati), servono dei servizi creati appositamente dalle piattaforme proprio per target così difficili da collocare.
Ovviamente con la caduta del Governo è lecito pensare che il progetto della famosa APP Lavoro sia totalmente naufragato, un vero peccato se pensiamo come lo strumento integrato nella piattaforma IO avrebbe potuto anche rilanciare i servizi pubblici per l’impiego in tema di piattaforme del lavoro, supponendo che questi sarebbero stati in grado di gestirne successivamente il potenziale traffico di rete.
In tal senso, basti pensare a una delle piattaforme leader nel mercato, INDEED, che gestisce qualcosa come 12 milioni di utenti e circa 70 mila annunci ogni mese. Per fare una cosa del genere servono una multinazionale e un modello organizzativo attualmente incompatibili con l’apparato pubblico, intrecciato tra competenze statali/regionali e gestito da una dorsale informatica incapace di stare dietro a un quadro evolutivo che cambia ogni mese. Come dicevo prima, se vogliamo dare delle piccole possibilità anche ai soggetti più svantaggiati nel mercato digitale, servono dei servizi creati appositamente dalle piattaforme proprio per target così difficili da collocare.
In qualche modo mi sto riferendo a quanto oggi Jobiri sta realizzando con i servizi di video-orientamento; oppure al processo di JobScanner realizzato dalla piattaforma Workapp; alla guida nella ricerca di un lavoro di Infojobs; alle Fiere del lavoro online di Monster; e/o addirittura allo sviluppo di vere e proprie work city come la piattaforma White Libra.
In altri termini, mi riferisco a una serie di servizi, che oggi forse non immaginiamo neppure e si creeranno solo se si svilupperà un meccanismo di “quasi-mercato” volto a favorire lo sviluppo di un vero mercato di servizi online dedicato ai “super-svantaggiati”. Servizi ad esempio volti a creare un personal branding sui social media, sponsorizzazione del profilo professionale e ovviamente a una formazione top di gamma nella ricerca del lavoro online.
È necessario integrare nell’attuale sistema di accreditamento anche la possibilità delle piattaforme di essere riconosciuti come operatori ed erogatori di politiche attive del lavoro analogamente a quanto avviene per gli attuali centri accreditati ai servizi al lavoro (ma all’interno di una logica più complessa di accreditamento digitale).
Ai policymaker sottolineo di “fare presto”, perché il nuovo mercato del lavoro non aspetta la macchina pubblica, il sistema sta già discriminando tutti coloro che sono analfabeti digitali e rispetto al passato non c’entra nulla il dualismo pubblico/privato. I dipendenti dei Centri per l’impiego sono funzionari che hanno ottime competenze amministrative e giuslavoristiche, ma con questo mondo digitale non c’entrano nulla. Non serve dire: “Basta assumere esperti nell’ambito digitali nei CPI”, a parte l’impossibilità di reclutare risorse del genere nell’apparato pubblico (se sono bravi nell’ambito digitale, probabilmente non sanno nulla di diritto perché stiamo parlando di discipline opposte), ma ora che si fanno i concorsi le mansioni selezionate potrebbe essere cambiate decine di volte e diventare nel frattempo obsolete, perché questo è un mercato evolutivo, estremamente variabile, flessibile e sempre più complesso sia sul lato informativo che su quello comunicativo.
Un “quasi mercato”, invece, permetterebbe di ovviare alla “difficoltà di adattamento”: saranno gli stessi utenti, applicando il principio di libertà di scelta, a spostarsi attraverso il loro voucher/dote direttamente su quelle piattaforme e servizi che offrono più opportunità di lavoro, ovviamente il tutto sotto lo stretto controllo e verifica dell’attore pubblico all’interno di un principio di complementarità pubblico/privato più che di competitività tra i vari attori.