Il programma GOL (Garanzia di occupabilità dei lavoratori) è, per chi non lo sapesse, il più grande programma di supporto a chi cerca lavoro in Italia. Fra il 2021 e il 2025 il programma è finanziato per 4,4 miliardi di euro sui fondi del Pnrr.
Anpal, Agenzia nazionale per le politiche attive che il Governo si appresta ad accorpare al ministero del Lavoro, pubblica regolarmente delle note di monitoraggio. Sono report che presentano i numeri delle principali attività svolte dal programma, e in parte anche i risultati occupazionali del programma stesso. Le attività vere e proprie del programma sono iniziate fra giugno e settembre del 2022 e l’ultimo rapporto pubblicato riporta i dati al 30 aprile 2023. Vediamo cos’è successo.
La prima grande notizia è che più di un milione di persone (1.133.540) sono entrati nel programma, vale a dire che sono andati in un servizio per il lavoro e hanno sottoscritto un patto di servizio, vale a dire si sono impegnati a seguire un percorso che può comprendere anche attività formative a fronte di un impegno del programma di finanziare le attività e di cercare di avviare al lavoro le persone.
Si tratta in circa 10 mesi di attività di un grande numero di persone. C’è da dire che 4 persone sono 5 sono percettori di sussidi (disoccupazione o Reddito di cittadinanza) che perdono il sussidio se non aderiscono al programma. Più dell’85% dei partecipanti appartiene al gruppo dei “soggetti vulnerabili”. Ai fini di questo programma il criterio non è molto selettivo; sono considerati vulnerabili: tutte le donne, i giovani sotto i 30 anni, gli adulti sopra i 55 anni, i disabili e i disoccupati da 12 mesi e oltre.
Come si può capire dall’elenco (che praticamente esclude solo i maschi fra i 30 e i 55 anni), anche fra i vulnerabili possono esserci persone con buone capacità lavorative. Un’analisi sia qualitativa che quantitativa sulle carriere e le caratteristiche delle persone viene effettuata prima di entrare nel programma. A seconda dei risultati. i più deboli vengono indirizzati a percorsi più lunghi e dotati di risorse.
La metà dei partecipanti è indirizzata al percorso 1, chiamato Reinserimento lavorativo, e che in buona sostanza è destinato a chi è pronto a tornare al lavoro e necessita di poca formazione e intermediazione. Il percorso 4, quello con più servizi e risorse, è dedicato ai più deboli sul mercato coinvolge il 3,6% di tutti gli iscritti al programma, e vi partecipano principalmente adulti, stranieri, a bassa istruzione e disoccupati di lungo termine. In definitiva il programma al 50% si occupa di persone precarie sul mercato e potenzialmente vulnerabili, ma non per questo poco occupabili.
Il report presenta anche alcuni risultati occupazionali: a 90 giorni dall’iscrizione al programma, il 17,9% ha una nuova occupazione, a 180 giorni si raggiunge il 25,4% con il massimo di Bolzano (44,2%) e il minimo della Sicilia (15,6%), rispecchiando una differenza territoriale nei mercati del lavoro locali già nota.
Questi risultati sono buoni o no? È presto per le valutazioni, ma Anpal Servizi (braccio operativo di Anpal) qualche tempo fa aveva analizzato i tempi di reimpiego in Italia. Lo studio stimava che il 60,2% delle persone che hanno perso il lavoro fra luglio 2016 e giugno 2021 ha trovato lavoro entro 12 mesi (6,6 su 11 milioni di persone). In qualche misura questa evidenza statistica fissa una sorta di metro di paragone per tutti i programmi di reimpiego.
Se i risultati a fine programma saranno più bassi ci sarà sicuramente chi darà questa spiegazione: abbiamo preso in carico persone effettivamente deboli e quindi si fa maggior fatica a collocarli. Certo, ma se le risorse che spendiamo non recuperano le persone in maggiore difficoltà, stiamo facendo bene?
Dopo molti anni forse è arrivato il momento di riflettere sui modelli che abbiamo seguito finora. Avere introdotto politiche attive personalizzate è stato un passaggio necessario e dal quale non si può tornare indietro, ma dove possiamo migliorare? Le politiche che facciamo sono davvero personalizzate?
Lasciando perdere le rispettive bandiere politiche (alza/abbassa i sussidi, concentra/decentra la governance, osteggia/coinvolgi i privati, tanti Lep/pochi Lep, formazione utile/inutile….) abbiamo esperienze sufficienti per tornare alle domande chiave: cosa serve veramente alle persone per rientrare al lavoro? come possiamo usare meglio le risorse che abbiamo?
Tornare a queste domande è utile: d’altra parte negli ultimi anni molte cose nell’economia e nella società sono cambiate.
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