C’è una foto di oggi che ha fatto il giro delle agenzie di stampa: i sette leader politici che al Meeting di Rimini hanno partecipato al dibattito “Nella diversità per il bene comune” sono seduti a cerchio in fiera prima dell’incontro mentre concordano temi e tempi. Per i “leoni da tastiera” sui social, essi tramavano chissà cosa oppure “stavano a magnà” come ogni politico che si rispetti. Al termine, i giornalisti hanno chiesto a Giorgia Meloni cos’aveva provato a stare accanto a Enrico Letta sul palco dell’auditorium e lei si è messa a ridere: “Guardate che tra di noi ci frequentiamo e ci parliamo”. Sembra che il Meeting abbia fotografato la campagna elettorale in modo più vero rispetto a giornali e tv: una discussione aperta su tre temi concreti (ruolo dei partiti, scuola, lavoro) con un pubblico che ha partecipato con applausi (equamente distribuiti) e disapprovazioni (rare, in particolare a Letta quando ha proposto di prolungare l’obbligo scolastico ma senza fischi plateali) in un clima di collaborazione. “È questa la risposta alla disaffezione della politica”, ha detto Giorgio Vittadini chiudendo il dialogo durato oltre due ore.
I sette, leader di partiti aderenti all’Intergruppo parlamentare per la sussidiarietà, hanno concordato su alcuni punti per la prossima legislatura: tetto al prezzo del gas, stipendi adeguati alla media europea per gli insegnanti, revisione del reddito di cittadinanza, riduzione delle tasse sul lavoro, impegno per le riforme istituzionali. Il tema del prezzo calmierato è stato lanciato da Luigi Di Maio (Impegno civico) che vuol farne “una battaglia comune” sulla scia della proposta del premier Mario Draghi. Per Enrico Letta (Pd) è un punto irrinunciabile: “Dobbiamo fare un’eccezione alla regola perché, se il prezzo dell’energia è aumentato del 1.100%, vuol dire che le regole sono saltate”. Matteo Salvini (Lega) ha proposto anche il ritorno al nucleare “pulito e sicuro”.
Sulle riforme le “differenze” richiamate nel titolo dell’incontro sono apparse più evidenti, in particolare quando la Meloni ha difeso il presidenzialismo duramente criticato da Letta. Ettore Rosato (Italia viva) ha ricordato che la legge elettorale in vigore, che porta il suo nome, “è stata quella votata con la maggioranza più larga nella storia della Repubblica” e ha auspicato che non vengano più approvate riforme a colpi di maggioranza.
Antonio Tajani (Forza Italia) ha difeso con forza chi crea lavoro: imprese, libere professioni, commercio, artigianato, agricoltura. Un cambiamento sul reddito di cittadinanza è ritenuto necessario da tutti: un conto è aiutare chi non può lavorare, un altro è dare un alibi per non lavorare a chi potrebbe farlo. Di Maio ha difeso la proposta del salario minimo “in collaborazione con le aziende”. Maurizio Lupi (Noi moderati) ha ricordato il ruolo fondamentale del Terzo settore (“Se domani chiudessero tutte le associazioni di volontariato, come potrebbe lo Stato rispondere a tutti i bisogni della popolazione?”) e della scuola libera. “Non dobbiamo distribuire soldi ma educazione”, ha detto Lupi citando il giurista Sabino Cassese, il che significa autonomia scolastica nella didattica e nell’organizzazione, valorizzazione dei docenti con formazione e premio per il merito, alleanza scuola lavoro.
Salvini – intervenuto in modo concreto su numeri, tasse, assegno unico – ha toccato anche i temi etici: aiuto alla vita, no all’eutanasia, no a qualsiasi droga. Dal leader leghista è arrivata infine la proposta di ritrovarsi tra un anno al Meeting per verificare chi ha mantenuto le promesse elettorali e chi no. Idea accolta da Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera che ha moderato il dibattito. Per l’Intergruppo che si formerà nel prossimo Parlamento c’è già un primo impegno.
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