Accesso abusivo ai dati di politici, imprenditori e vip, per notizie che in parte poi sono finite sulla stampa. L’inchiesta della Procura di Perugia sull’attività di un finanziere alla Procura Antimafia e su 800 accessi a banche dati riservate senza che ci fosse un’indagine in corso ripropone il tema del “dossieraggio” politico e della violazione della privacy. Un’abitudine tutta italiana, spiega Gaetano Pecorella, avvocato penalista, ex parlamentare di Forza Italia, che trova riscontri anche in altre vicende che hanno segnato la storia del nostro Paese. Un fatto grave, osserva il legale, con reati che potrebbero essere addebitati sia alle persone che avrebbero eseguito i presunti accessi illegali (oltre al finanziere Pasquale Striano, anche il magistrato Antonio Laudati) sia a coloro a cui sarebbero state trasmesse le informazioni così ottenute, come i giornalisti. Sarebbero state usate, però, anche per altri scopi, ancora da chiarire. Tra gli “spiati” ci sarebbero il ministro della Difesa Guido Crosetto, il suo collega Francesco Lollobrigida, molti esponenti del centrodestra ma anche Giuseppe Conte e Matteo Renzi. Con loro Fedez, Cristiano Ronaldo, Andrea Agnelli e altri ancora.
È esploso il caso di questi accessi abusivi alle banche dati SOS (segnalazioni di operazioni sospette) per accumulare informazioni su politici (moltissimo del centrodestra ma non solo) e imprenditori, e creare “dossier”. È solo l’indagine privata di qualcuno? O un vero e proprio sistema?
Quando c’erano servizi segreti come il SID (Servizio informazioni difesa, nda), ricordo che al processo di Piazza Fontana, in cui ero parte civile, c’erano fascicoli per tutti, che poi furono distrutti da Andreotti, anche se probabilmente ne è rimasta qualche copia. Che sia un’abitudine del nostro Paese, dei nostri servizi, quella di spiare gli uomini politici o che hanno una posizione economica importante, credo che non sia una novità. L’accesso viene giustificato anche come relativo a indagini amministrative, non penali. Questa è un po’ la situazione di oggi.
Nell’inchiesta sono indagati anche dei giornalisti che avrebbero ottenuto queste informazioni. È un reato l’accesso da parte loro alle notizie poi pubblicate?
La pubblicazione di queste notizie può essere considerata un reato. L’accesso ai dati sarebbe un reato per i giornalisti se ci fosse stato un accordo precedente con chi doveva fornire le notizie. Questo rientra nella legge sulla riservatezza, sul diritto alla vita privata. Ci fu un caso di un giornalista, molti anni fa, incriminato per ricettazione perché, se acquisire queste notizie di per sé può essere un reato, poi farne uso diventa una forma di ricettazione. Credo che la cosa più grave sia questo marchingegno che mette insieme stampa, Guardia di finanza e Procura della Repubblica al fine di acquisire elementi che nel corso di un procedimento giudiziario, di un’indagine penale, potrebbero anche avere senso, ma che non si possono raccogliere in relazione a un cittadino che in quel momento non ha alcuna pendenza.
Sulla gravità del fatto, insomma, non si discute?
Credo che sia un fatto politicamente gravissimo e anche dal punto di vista giuridico si possa configurare tranquillamente come un reato. Questi signori hanno una loro vita privata: se io vado a spiare in banca il loro conto, senza che ci sia nessun procedimento penale in corso, né ci sia una denuncia o una segnalazione, credo che tutto questo rappresenti per il pubblico ufficiale un reato alquanto grave; per il giornalista, se c’era un accordo previo tra i due, lo stesso reato del pubblico ufficiale, se non c’era un accordo, una forma di ricettazione o comunque di pubblicazione di notizie segrete o riservate.
In che senso se c’era un accordo?
Se c’era un accordo sulla base del quale la Guardia di finanza raccoglieva questi elementi per poi consegnarli ai giornalisti, cioè se si mettevano d’accordo per fare questa attività in comune (“tu vai a prendere le notizie io poi le pubblico”), c’è un concorso nel reato.
Questi accessi impropri alle banche dati secondo lei sono episodi rari o succedono più spesso, anche se poi non sempre diventano pubblici, come in questa vicenda?
Ricordo solo che nel processo di Piazza Fontana c’erano fascicoli di questo tipo, raccolti al di fuori di ogni indagine penale per motivi politici, per darli al ministro, che in quel caso era Andreotti. È raro, ma lo è anche perché non sempre lo si scopre.
In questo caso le notizie sarebbero state raccolte anche nei confronti di imprenditori, non sarebbe un dossieraggio solo politico.
No, infatti è un sistema di controllo generalizzato dei soggetti che contano nel Paese.
Cosa bisogna fare per evitare che si ripetano casi del genere?
Non so se hanno raccolto anche elementi bancari, ma una banca non può dare notizie riservate o segrete solo perché una persona dice che è della Guardia di finanza: deve avere un mandato del magistrato, un procedimento di indagine in corso. Come sempre le leggi ci sono ma sono insufficienti e oltre a leggi più efficaci ci vogliono anche coloro che le fanno rispettare, cambiando i soggetti che hanno la cattiva abitudine di andare a indagare la vita privata del prossimo. Se si tratta di accedere a visure camerali, quindi a dati di beni immobili, ci sono i modi per farlo, ma con i conti correnti bancari no. Non li puoi avere, a meno che non ci sia un provvedimento del magistrato.
Il presidente Mattarella in un incontro con i giornalisti ha ribadito che la libertà di stampa è fondamentale, richiamando anche alla loro responsabilità. Cosa ne pensa?
La libertà di stampa va benissimo, ma non significa la libertà di commettere dei reati. Ognuno deve assumersi la responsabilità di quello che pubblica.
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