Polemiche sempre più accese sul caso dei dossier contro politici (soprattutto del centrodestra) e altre personalità pubbliche, carte su cui sta indagando la procura di Perugia. La notizia di ieri è che la Commissione antimafia ha deciso a tambur battente di sentire il procuratore di Perugia, Raffaele Cantone, che è pure il titolare dell’indagine, e il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo. Saranno ascoltati domani e venerdì. Una successiva audizione avverrà anche al Copasir, cioè il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Erano stati gli stessi magistrati a chiedere di essere ascoltati dall’Antimafia, dal Copasir e anche dal Csm per chiarire le rispettive posizioni: una richiesta “doverosa” – così hanno fatto sapere – per rendere, nei termini di legge, le informazioni necessarie perché le istituzioni effettuino le loro valutazioni sulla vicenda.
Gli interrogativi infatti si moltiplicano. Ci si chiede come mai all’Antimafia (guidata per cinque anni, fino al febbraio 2022, da Federico Cafiero de Raho, ora parlamentare 5 Stelle) non si fossero accorti dell’abnorme numero di accessi alle banche dati riservate. Ci si chiede chi aveva autorizzato quegli accessi, illegittimi senza un mandato di qualche procura. E ci si pone la più classica delle domande: “cui prodest?”, ovvero a chi giovano questi dossieraggi. Qui non c’entra la tutela della libertà di stampa, si tratta di reati, e in modo più specifico di un attacco alla democrazia, perché nel mirino ci sono i partiti, che ne sono il cuore; stanco, ma pur sempre pulsante. Il problema è serio e lo dice, tra gli altri, un giornalista come Gianni Riotta, sicuramente non amico del centrodestra: “Lo scandalo dei file usati contro politici e personalità, sottratti illegalmente e girati a fonti e sodali di fazione, non è giornalismo o democrazia, ma ricatto purtroppo”, ha twittato su X.
Si sente dire che un buon cittadino non ha nulla da nascondere, tuttavia questa è l’anticamera della privazione della privacy, il preannuncio di un controllo pervasivo da parte di organi dello Stato non per combattere presunti reati, ma per creare dossier contro una o più parti politiche da esibire al momento più opportuno. Non è casuale che gli accessi, poi diventati “inchieste” del quotidiano Domani di Carlo De Benedetti (tre i suoi giornalisti indagati), si siano intensificati alla vigilia del giuramento del governo Meloni.
Va notato il silenzio del Quirinale. Sicuramente al Colle c’è fortissima preoccupazione, Mattarella sta attenzionando la vicenda, ed è questa che suggerisce estrema prudenza. Anche quando scoppiò il caso Palamara il presidente Mattarella (che, ricordiamo, è anche presidente del Csm) attese che si chiarisse la situazione per poi manifestare il “grave sconcerto” di fronte a quanto stava emergendo. Probabile che ora il presidente e i suoi consiglieri stiano valutando il modo più adeguato per intervenire sul caso. Sarà sicuramente solo questione di tempo.
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