Nel novembre del 2019 i telegiornali italiani mostrarono con molta enfasi le immagini di tre poliziotti cinesi che avrebbero affiancato i carabinieri nei servizi per garantire la sicurezza delle zone più centrali di Milano, da piazza Duomo a corso Vittorio Emanuele II e via Dante, dal quadrilatero della moda e via Manzoni al Castello Sforzesco e Brera. Un’esperienza, sottolineò la Prefettura di Milano, “che si era già svolta positivamente nel capoluogo lombardo e in altre città”. La durata prevista era di un mese, poi ufficialmente non si seppe più nulla. Si tratta della cosiddetta “Fuzhou Police Overseas Service Station” presente a Prato, dove esiste la più grossa comunità cinese in Italia, a Roma, Firenze e appunto Milano.



Adesso dall’Olanda arriva la notizia della chiusura di tutte le stazioni di polizia cinese aperte in modo analogo, ma senza il consenso delle autorità locali. Secondo una Ong di base in Spagna, questi agenti non si limiterebbero a proteggere e assicurare alla giustizia casi comuni di criminalità e a fare da supporto ai cittadini cinesi nel disbrigo delle pratiche amministrative, ma soprattutto a rintracciare dissidenti cinesi e obbligarli forzatamente al rimpatrio. Per questo un’interrogazione è arrivata al ministro degli interni Piantedosi. Secondo Vincenzo Giallongocolonnello dei Carabinieri, esperto di sicurezza, numerose missioni estere, in Iraq durante la missione Antica Babilonia da noi intervistato, “si tratta di operazioni di polizia non concordate e non riconosciute dallo Stato italiano. I cinesi hanno una grande capacità di infilarsi in ogni maglia lasciata larga dallo Stato, sono iniziative che vanno bloccate immediatamente, perché non è tollerabile che due servizi di polizia, di cui uno straniero, agiscano sul nostro territorio”.



C’è un allarme in corso sulla presenza in Italia, ma anche in Olanda, di agenti di polizia cinesi che non si limiterebbero a cooperare con le nostre autorità nel segnalare casi di criminalità, ma agirebbero in mondo indipendente, con tutti i rischi del caso, ad esempio la caccia ai dissidenti. E’ a conoscenza di questo fenomeno?

Certamente, ho lavorato per un certo periodo di tempo a Torino e me ne sono occupato. Il problema è che le comunità cinesi in Italia, ma non solo quelle, sono molto chiuse e impermeabili ad avere rapporti con il paese che li ospita. Il rapporto si costruisce molto lentamente. A Torino, grazie alla collaborazione con il presidente della comunità cinese, una persona molto aperta e disponibile, si comincia a vedere un buon rapporto di fiducia verso le nostre forze di polizia. Ci siamo avvicinati alla loro comunità, abbiamo partecipato ai loro capodanni, abbiamo aperto un canale di comunicazione.



L’allarme che viene lanciato oggi riguarda però il fatto che ci sarebbero veri e propri reparti di polizia cinese operanti in Italia e in altri paesi in modo autonomo.

Infatti. A Torino si è evitato un caso del genere, ma in altre città, soprattutto a Prato, ma anche a Milano, si verificano questi episodi. Queste comunità di extracomunitari, perché tali sono i cinesi, ma anche comunità di altri paesi, vivono nel loro mondo e a un certo punto si sono creati questa forza di polizia senza nessuna autorizzazione da parte del nostro Stato.

In Olanda si è proceduto alla chiusura di tutte queste strutture, perché è stato denunciato che mettono in atto una vera e propria caccia ai dissidenti cinesi. È così?

Come dicevo, dove le maglie di controllo sono larghe, i cinesi sono abilissimi a infiltrarsi. Dove non si effettua un’azione mirata, le comunità extracomunitarie fanno quello che vogliono, se non interveniamo in maniera seria e decisa. Quando vedono che c’è la possibilità, si creano queste strutture di controllo, perché i cinesi sono molto, per così dire, “stato-dipendenti”. Hanno strettissimi rapporti con la madrepatria, non sono liberi di fare quello che vogliono ed ecco che riescono a costruirsi queste strutture di pseudo polizia, ovviamente segrete. Si sa, ma mancano interventi decisi per fermare certe cose.

Cosa ritiene sia opportuno venga fatto?

Bloccare sul nascere questo tipo di attività. Quando si parla di collaborazione, non si intende avere due polizie. A Torino, instaurando una collaborazione aperta – il presidente della comunità cinese mi segnalava, ad esempio, i casi di negozi cinesi dove si vendeva merce rubata ad altri cinesi – noi siamo intervenuti anche con arresti. Questa è la collaborazione che va instaurata. Se chi di dovere nelle prefetture e nelle amministrazioni locali non interviene, si sostituiscono alle nostre forze di polizia e non è una cosa accettabile.

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