La frattura che può venirsi a creare tra le forze di Polizia e l’opinione pubblica rappresenta un pericolo assai più grave del contrasto tra parti politiche e probabilmente tra istituzioni. La carica – o il contenimento, come più propriamente si dovrebbe dire – dei giovani manifestanti di Pisa sta occupando un grande spazio mediatico. E non sempre con l’intenzione di contribuire alla comprensione di ciò che è accaduto e delle possibili conseguenze.



Che l’uso dei manganelli possa esprimere il fallimento un’azione sul campo, come affermato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è un fatto incontrovertibile. Quando si ricorre alla forza invece che alla persuasione vuol dire che qualcosa è andato storto. Che poteva esserci un’altra soluzione ma non si è trovata. Che si è di fronte a un errore di sistema che dev’essere assolutamente corretto. La materia è tanto delicata quanto complessa.



Complessa perché sono tante le variabili in gioco ed è difficile stabilire a caldo dove ci sia il torto e dove la ragione. Ed è assai probabile che ragione e torto s’inseguano e s’intreccino nel breve svolgimento di questa storia. Che può e deve servire da insegnamento per evitare che episodi del genere possano ripetersi anche se l’esperienza insegna che non s’impara mai abbastanza. L’esasperazione dei toni, tuttavia, non aiuta certo a definire un percorso condiviso.

È una faccenda delicata, poi, perché riguarda i beni preziosi della difesa dell’ordine pubblico, da una parte, e della libertà d’espressione, dall’altra. Beni che vanno tutelati con eguale forza e convinzione. In un contesto sano di buone intenzioni non ci dovrebbe essere spazio per l’incidente, ciascun fronte dovendo conoscere e rispettare le prerogative dell’altro. C’è bisogno di reciproca legittimazione perché il gioco democratico possa dispiegare al meglio le sue dinamiche.



Se esistono i diritti dobbiamo considerare anche i doveri, troppo spesso relegati sullo sfondo. Nel caso in questione se n’è parlato poco o quasi per nulla com’è giusto che sia per un argomento residuale. Di doveri si parla molto poco nella società che ci troviamo ad abitare – e che abbiamo contribuito a costruire – e sempre per rimarcare quelli altrui. È un aspetto del nostro comportamento che dobbiamo imparare a correggere. E pure in fretta.

L’errore è sempre dietro l’angolo. È parte integrante della condizione umana. Si può lavorare per restringere al massimo la sua area di influenza, ma è pressoché impossibile annullarne l’esistenza. L’errore, se e quando c’è, va riguardato e valutato nel momento in cui è commesso tenendo conto di tutti gli elementi al suo contorno, fisici e psicologici. Dovrebbe essere un esercizio imparziale e non condizionato dal posizionamento politico di questa o quella parte in causa.

Intervistato a caldo, il capo della Polizia Vittorio Pisani è stato esemplare: nessun processo affrettato o allargato o nelle sedi improprie, se qualcuno ha sbagliato pagherà nelle forme e nei tempi giusti. È importante dare modo al dissenso di potersi esprimere. Ma nelle forme consentite perché il rispetto delle regole vale per tutti. La legittimazione risponde a un principio di reciprocità e la responsabilità è un concetto impegnativo per sé prima che per gli altri.

Il mestiere di tutore dell’ordine pubblico è tra i più difficili e ingrati che esistano. In Italia con le leggi attuali come fai, sbagli. E non c’è da meravigliarsi se la tentazione di lasciar correre, di non interferire, di gettare lo sguardo altrove, possa affermarsi anche in funzione del modesto stipendio accordato per sfidare il pericolo. Evitiamo di creare danni di cui potremo pentirci se e quando (speriamo mai) dovremmo aver bisogno di un pronto intervento.

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