In un articolo comparso sul New York Times, Jamelle Bouie parla delle proteste che da giorni stanno infiammando gli Stati Uniti a seguito della morte di George Floyd; tema che ovviamente è stato trattato con grande rilevanza in tutto il mondo, anche e soprattutto per la reazione di personaggi pubblici che ancora una volta hanno fatto sentire la loro voce al coro di Black Lives Matter, che avevamo già sentito negli anni precedenti. Abbiamo assistito a immagini di rivolte e violenze che poco hanno a che fare con manifestazioni pacifiche, ma l’editoriale del NYT punta oggi l’accento su un altro problema: l’atteggiamento della polizia. “Niente di quello che fanno i poliziotti reprime il disordine” si legge. “Tutto, dalla postura militaristica agli attacchi stessi, infiamma e agita i protestanti piuttosto che calmare la situazione e riportare l’ordine nelle strade”. Bouie porta anche degli esempi, citando video e testimonianze dirette dei passanti: passeggeri di un’auto estratti con la forza e trascinati a terra, attacchi a persone anche anziane, utilizzo di spray al peperoncino e di gas lacrimogeno (nocivo per la salute, soprattutto in questo periodo di Coronavirus) ma anche spari e percosse che hanno causato infortuni seri.



La situazione insomma sarebbe critica anche per l’atteggiamento della polizia: la quale, invece di gestire le proteste che sfociano nelle violenze, contribuirebbe al disordine “allo stesso modo di chi è responsabile per i danni agli edifici e le auto bruciate”. Il problema, secondo l’autore di questo editoriale, è che a differenza dei dimostranti i poliziotti hanno l’approvazione dello stato. “Quello che abbiamo visto dalla polizia in rivolta è un’asserzione di potere e impunità” prosegue l’articolo. Anche qui il tema assume connotati razzisti: viene citato un saggio del 1960, scritto da James Baldwin, nel quale si diceva – in relazione ai disordini di Harlem – come la polizia rappresentasse “la forza del mondo bianco, e le reali intenzioni di quel mondo sono il profitto e l’agio criminali, così da mantenere l’uomo nero incatenato qui”. Ora, questa sarebbe l’opinione di molti osservatori afroamericani; il problema però non sarebbe riconducibile alla cattiveria del singolo poliziotto, quanto al fatto che le forze dell’ordine sarebbero separate dalla comunità nera per una questione di storia e cultura.



SCONTRI USA: RIVOLTA POLIZIA PROBLEMA RAZZIALE MAI RISOLTO

Ancora, viene citato lo storico Khalil Gibran Muhammad che, parlando della prima era della riforma progressiva americana (all’inizio del Ventesimo Secolo), diceva che i poliziotti “hanno abdicato dalla responsabilità di dispensare servizio e protezione indiscriminatamente, arrivando all’arresto di massa di neri attaccati da una folla bianca”. Secondo la tesi dell’editoriale, nei quartieri afroamericani del Nord urbano la polizia è onnipresente, ma non per proteggere la popolazione nera quanto per rinforzare l’ordine razziale, anche se questo volesse dire portare disordine nelle strade. Altro esempio, la rivolta razziale di Philadelphia del 1918: un leader nero lamentava l’assalto criminale contro i neri con proprietà danneggiate e distrutte, neri “pacifici e rispettosi della legge”, il tutto mentre la polizia sembrava impotente nel proteggere queste persone. Viene citata poi la politica moderna, e il New York Police Department entusiasta nel lavorare sotto sindaci come Rudy Giuliani e Michael Blooomberg “che hanno fondato il loro sostegno tra i residenti bianchi della città” ma ha poi rifiutato l’autorità del democratico Bill De Blasio che, appoggiato da neri e ispanici, proponeva la riforma della polizia quando era candidato.



Nello scenario entra anche il presidente Donald Trump, del quale si dice che abbia incitato le forze dell’ordine americane a essere ancora più violente con i protestanti e, in passato, aveva lodato gli abusi della polizia; un presidente che “ha esplicitamente rigettato la legittimazione dei non bianchi come attori politici, lanciando la sua carriera politica sul bisogno di un maggiore controllo razziale degli immigrati musulmani e ispanici. Da qui la conclusione e la tesi principale: gli scontri tra i manifestanti e la polizia sono in una certa misura “un microcosmo di dispute più ampie che infiammano questo Paese: le pressioni e i conflitti di una nazione diversificante; lo sforzo per scappare da un passato esclusivo verso un futuro più inclusivo; e la nostra costante battaglia su chi davvero conta e chi no, dove chi conta può comportarsi da pieno ed equo membro di questa società”.