La Corte costituzionale polacca ha sancito, nella sua sentenza di giovedì 7 ottobre, la superiorità della costituzione polacca sul diritto dell’Unione Europea. È questo il contenuto veicolato da agenzie e organi di informazione, e tanto è bastato per farne un tema scottante, con i contrari – gli europeisti – da una parte, allineati alla replica della Commissione, che ha ribadito il primato del diritto europeo, e i favorevoli, schieratisi con la Polonia e per questo subito etichettati di “sovranismo”.



Con un buon grado di approssimazione, si può riassumere così la vicenda. La Corte costituzionale polacca si è pronunciata su mozione del primo ministro Mateusz Morawiecki, dopo che la Corte di giustizia dell’Ue aveva autorizzato i giudici polacchi a controllare la legittimità del processo di nomina dei loro pari. La nomina dei giudici può essere contestata sulla base del diritto dell’Unione? La risposta della Consulta polacca è stata negativa. “Nell’ordinamento polacco i trattati dell’Ue sono subordinati alla Costituzione e, come ogni altra fonte del sistema giuridico polacco, tutte le norme europee che sono in vigore in Polonia devono rispettare la Costituzione”, ha commentato il giudice Bartlomiej Sochanski.



Il senso è chiaro: la formazione del sistema giudiziario polacco appartiene all’ordinamento della Repubblica e non è mai stato trasferito all’Unione Europea, pertanto rimane di competenza esclusiva polacca.

La sentenza arriva in un momento molto complicato per i rapporti tra Varsavia e Bruxelles, soprattutto su tre fronti: riforma del sistema giudiziario polacco, libertà di informazione e “nuovi diritti”. Nel frattempo, i 57 mld del Pnrr polacco devono ancora essere approvati dall’Ue.

Con Agustín Menéndez, giurista, esperto di diritto europeo e attualmente docente di filosofia politica nell’Universidad Complutense di Madrid, abbiamo cercato di capire più da vicino il senso di una sentenza dirompente.



Come si è arrivati a questa decisione della Corte costituzionale polacca e perché?

Nel breve termine, il fattore scatenante è la serie di cambiamenti occorsi nell’organizzazione della magistratura polacca dal 2017, chiaramente volti ad aumentare il controllo del governo sui giudici, e di conseguenza categoricamente inaccettabili dal punto di vista anche della concezione più minimalista della democrazia. Ma tali sviluppi non sono comprensibili senza considerare il medio termine, il passaggio molto tormentato dal comunismo al capitalismo nell’Europa orientale, e in particolare in Polonia.

Che cosa si può dire a questo riguardo?

Questa transizione non soltanto ha portato a grandi disuguaglianze, tra individui e tra regioni, ma ha anche permesso di creare le istituzioni formali della democrazia senza il radicamento di una vera cultura democratica.

È un giudizio molto forte. Non le sembra esagerato?

Un costituzionalista polacco, Tomasz Tadeusz Koncewicz, ha coniato il termine di “costituzionalismo alienante” per riferirsi alla tendenza a emulare ciecamente le forme parlamentarie occidentali, come se bastasse un astuto disegno istituzionale a fare democratico un paese. Così era molto difficile che una cultura democratica si radicasse in Polonia, e in generale nei paesi dell’Est. La velocità dell’involuzione autoritaria in Polonia, e la relativa debolezza dell’opposizione, mi sembra che siano prove ulteriori in questo senso.

Torniamo allo sviluppo che accennava.

La prospettiva dell’adesione all’Ue ha garantito la stabilità a breve, ma i termini strutturali dell’integrazione economica condannano questi paesi ad essere permanentemente subalterni. Si pensi che ogni anno arrivano in Polonia aiuti europei pari a circa il 3% del Pil, ma i flussi in uscita verso l’Ue – principalmente Germania, in forma di dividendi – valgono quasi il 5% del Pil. Questo crea le condizioni nelle quali anche riforme di carattere autoritario possono essere presentate al pubblico come una difesa della sovranità nazionale. Siamo davanti a una sorta di ritorno del rimosso.

Cosa dice la sentenza?

Possiamo distinguere tre parti. Due sono quasi banali. La prima riguarda la supremazia della Costituzione polacca in Polonia. La terza parte è la conseguenza logica della prima, ovvero l’affermazione secondo la quale tutte le norme del diritto europeo sono valide fintanto che non portano a un conflitto con la Costituzione polacca.

Fin qui che cosa possiamo dire?

Possiamo affermare che la Corte polacca usa gli argomenti elaborati da anni da altre consulte, incluse quella tedesca o italiana, i cosiddetti “controlimiti”, già invocati nel 2005 dalla stessa Corte polacca, certamente in modo meno belligerante.

E la seconda parte?

È la vera novità. Secondo i giudici le varie riforme giudiziarie operate dal 2017 sono conformi al diritto costituzionale polacco. Soltanto affermando questo si può arrivare a dire, come si fa nella decisione, che i giudici polacchi non possono fare affidamento sul diritto europeo per contestare la validità delle norme attraverso le quali sono state attuate le recenti riforme giudiziarie. Il vero conflitto, però, non è quello che riguarda diritto europeo e diritto polacco, ma quello relativo all’indipendenza giudiziaria, e al rispetto o meno delle garanzie contenute nella Costituzione polacca.

La risposta della Commissione si articola in due punti. Il primo: “Il diritto dell’Ue ha il primato sul diritto nazionale, comprese le disposizioni costituzionali”. Come commenta?

Invocare la supremazia del diritto dell’Unione Europea in questi termini è un errore tecnico, perché la fonte ultima di legittimità democratica dell’ordinamento giuridico resta nazionale. Il primato del diritto europeo è tale su invito delle costituzioni nazionali, che si aprono al diritto europeo, come ha ricordato tante volte Dieter Grimm. Ma è anche un errore politico.

Perché?

Perché il tipo di conflitto che si sta svolgendo va affrontato con qualcosa di diverso dall’autorità, per sua natura limitata, del diritto europeo. Una trasformazione autoritaria del sistema giudiziario è un grande problema politico, che non può essere risolto solo attraverso il diritto.

Il secondo punto: “Tutte le sentenze della Corte di giustizia europea sono vincolanti per le autorità di tutti gli Stati membri, compresi i tribunali nazionali”. Sulla base di quali presupposti una Corte costituzionale come quella polacca può respingere una decisione della Corte di giustizia europea?

L’autorità delle Consulte deriva dalle ragioni che invocano. Le Corti costituzionali nazionali sono efficaci nel porre limiti alle sentenze della Corte di giustizia europea quando non solo sono supportate dall’opinione popolare locale, ma anche adducono ragioni che possono trovare sostegno nelle costituzioni nazionali di altri Stati membri, o in quelle europee o in convenzioni internazionali che costituiscono una sorta di ius commune costituzionale. La sovranità è rafforzata, non indebolita, dalla ragionevolezza.

Come si risolve il possibile conflitto tra ordinamento polacco e ordinamento comunitario? In altri termini, adesso che cosa succede?

Non è compito dei giuristi o dei filosofi predire il futuro. Quello che si può dire è che questo era un incidente che stava per accadere – “an accident waiting to happen”, direbbero gli inglesi – e che i problemi politici, insisto, richiedono soluzioni politiche.

Quali sono le possibili conseguenze della sentenza polacca per l’ordinamento comunitario?

Serve un po’ di prospettiva. L’autorità del diritto europeo è limitata, direi declinante, non perché sia usata per opporsi a una riforma giudiziaria autoritaria, ma piuttosto perché è considerata – giustamente – come una spada che ha eroso le tutele socio-economiche nazionali. Questo è vero anche in Polonia. Ho l’impressione che la popolarità del governo polacco in carica abbia più a che fare con l’aumento della spesa per prestazioni sociali che con la cosiddetta riforma della giustizia.

Le cito le parole di un leader politico italiano. “Diversissime la sentenza polacca di oggi da quella tedesca di un anno fa sulla Bce. La sentenza di Varsavia (…) è di principio, generale e dalle conseguenze gravi a differenza di quella tedesca che è rimasta infatti senza seguiti”. Cosa risponde?

Anche un orologio rotto indica l’ora giusta due volte al giorno. È vero che le due sentenze sono diverse, ma temo che Enrico Letta non sia riuscito a comprendere le implicazioni a medio e lungo termine della sentenza della Corte costituzionale tedesca del maggio dello scorso anno.

L’integrazione europea è caratterizzata dall’idea di progresso, è un “avanti”, mentre i giudici polacchi intendono ostacolare tale progresso, vogliono tornare “indietro”. Questa chiave di lettura – oggi, in Europa – è ancora proponibile?

Giandomenico Majone sosteneva alcuni anni fa che l’ossessione per una Unione sempre più stretta era destinata a sfociare in uno stupido automatismo e in un pericoloso ottimismo illimitato. Ma ciò a cui conduce la riforma giudiziaria della Polonia non è un passato glorioso, ma un semplice e puro autoritarismo.

La Corte costituzionale italiana potrebbe fare ciò che ha fatto quella polacca?

Mi sono espresso molte volte a favore di forme di resistenza costituzionale alle norme europee che violano i fondamenti dello Stato democratico e sociale. Ma non in nome di una concezione decisionista della costituzione nazionale, bensì della costituzione nazionale come parte integrante del collettivo delle costituzioni democratiche europee. Mi permetterei di dare un consiglio ai giudizi costituzionali polacchi: leggere Dossetti, Calamandrei e Basso.

(Federico Ferraù)

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