Una sentenza storica condanna Fincantieri per una morte da amianto: questa volta, però, la vittima non è un lavoratore morto ma sua figlia. La donna, scomparsa a causa di un mesotelioma pleurico fulminante a cinquant’anni, era la figlia di un ex elettricista di bordo. Per anni, da bambina prima e da ragazza poi, ha accolto il papà in casa che rientrava da lavoro con i vestiti sporchi di polvere, ovviamente inconsapevole sugli effetti nocivi e letali di quelle sostanze. Così, per anni, il pulviscolo di amianto si è diffuso in casa, venendo respirato dalla giovane, che non faceva altro che correre ad abbracciare il papà che rientrava dopo una giornata fuori casa.



Quella polvere d’amianto contenuta sui vestiti del lavoratore del cantiere navale, negli anni ha minato la salute della donna. “Siamo riusciti, con testimonianze chiave e con la Ctu (Consulenza tecnica d’ufficio, ndr) a dimostrare che l’azienda non aveva informato a dovere il suo dipendente sui rischi che correva non solo lui di ammalarsi” ha spiegato l’avvocato Ludovico Berti al Resto del Carlino. L’esame autoptico della donna ha mostrato la presenza di particelle di amianto nel corpo della vittima, non di esposizione da lavoro, ma di vicinanza familiare.



Amianto killer: il papà portava la polvere in casa

Il padre della donna morta per mesotelioma pleurico fulminante aveva lavorato a lungo dentro il cantiere navale ed era andato in pensione a inizio anni ‘80. “Ogni volta, tornando a casa, ha diffuso suo malgrado il pulviscolo di amianto che la figlia ha respirato e che poi l’ha portata alla morte. È stata una sentenza unica nel nostro territorio” ha aggiunto l’avvocato Berti. La vittima da 0 a 18 anni ha respirato la polvere portata sui vestiti dal papà, residente ad Ancona con tutta la famiglia. Trent’anni dopo si è ammalata ed è morta. Anche suo padre è venuto a mancare, anni fa, per una malattia: un carcinoma, che però i medici non hanno potuto ricondurre all’amianto.



La sentenza del giudice del tribunale ordinario condanna dunque Fincantieri e secondo il Resto del Carlino, l’azienda presenterà ricorso in appello. Si tratta, comunque, di una decisione storica: è la prima volta che la vittima non è un lavoratore ma un familiare e dunque i legali hanno dovuto dimostrare che non si sia trattato di una malattia professionale, quanto delle conseguenze provocate dalla mancata informazione del lavoratore. La donna è morta anni fa e a fare causa sono stati la figlia, il marito e altri parenti stretti, risarciti con poco più di un milione di euro.