È cominciata ieri la visita di Stato in Italia del segretario di Stato americano Mike Pompeo. Ieri il capo della diplomazia Usa ha incontrato Mattarella e Conte, oggi vedrà in visita privata papa Francesco. In cima alla lista delle preoccupazioni del governo ci sono i dazi. Il Wto ha dato ragione agli Stati Uniti sul caso Airbus: gli Usa hanno diritto a imporre 7,5 miliardi di sanzioni su prodotti europei e italiani come compensazione per la concorrenza sleale di Airbus a Boeing. Si tratta di un contenzioso che risale al 2004 e che giunge a sentenza in un contesto completamente mutato, quello odierno della crisi economica e della guerra dei dazi tra Usa e Cina. Il governo italiano spera di ottenere dagli Usa condizioni più morbide per il nostro export, ma questo è solo un aspetto di una partita più complessa, dice il giornalista americano Andrew Spannaus. 



Perché questa visita e perché adesso?

È da tempo che Pompeo doveva venire in Europa. Sappiamo che l’amministrazione americana aveva posto precisi paletti all’esecutivo precedente sul tema molto delicato dei rapporti con la Cina. Ora Pompeo vuole avere garanzie sul posizionamento del nuovo governo, pur essendo il presidente del Consiglio lo stesso del governo precedente.



Si tratta di un viaggio di sei giorni apparentemente singolare per le sue destinazioni: Italia, Montenegro, Macedonia del Nord e Grecia. 

Le tappe sono all’insegna della sicurezza nazionale e internazionale: Montenegro e Macedonia sono importanti per la Nato, la Grecia è importante per i rapporti con la Cina. Anche l’Italia va inquadrata in questo contesto. 

In quali termini esattamente?

La sua collocazione strategica non è in discussione: Roma è un partner fidato della Nato, però il Dipartimento di Stato vuole essere sicuro che nei confronti della Cina non ci siano sbandamenti da parte del nuovo governo Conte.



La fuoriuscita dall’amministrazione del “cattivo” e intransigente Bolton renderà la posizione degli Usa più morbida?

No. Il licenziamento di Bolton non cambia le posizioni di Pompeo, la cui linea si mantiene relativamente dura verso la Russia. La differenza tra i due sta nel fatto che Pompeo è più abile ad assecondare Trump, ma le sue posizioni su Russia, Cina, Nord Corea e Venezuela sono molto simili a quelle di Bolton. 

Pompeo ha stretto la mano allo stesso capo del governo che sette mesi fa ha firmato con la Cina un memorandum di intesa senza dire nulla alla Casa Bianca. Avanti tranquilli?

Non proprio, non ci si scorda del passato. Gli Stati Uniti hanno preteso un passo indietro dell’Italia sul 5G e lo hanno ottenuto, perché nel primo consiglio dei ministri il governo ha esercitato il golden power sui fornitori di infrastrutture di rete non europei. Ritengo però che Pompeo intenda continuare ad esercitare una sorta di pressione e di vigilanza sull’alleato italiano per dissuaderlo dall’andare in altre direzioni.

Insomma l’Italia deve ancora scegliere da che parte stare?

Non ho detto questo. Pompeo non può pretendere tutto o nulla, e a Washington si capisce che anche l’Italia deve perseguire i propri interessi. Del resto anche in tempi di trade war l’America fa affari con la Cina. Gli Usa ritengono però che alla Cina non si possano fare concessioni troppo forti, come quelle che riguardano la sicurezza, l’intelligence e le reti.

Insomma patti chiari e la porta sarà sempre aperta, nonostante ora Cina e Turchia sbarchino a Taranto.

Naturalmente se e quando l’Italia chiederà una linea più morbida sui dazi, dovrà ascoltare attentamente ciò che chiede Pompeo.

Che cosa intende?

La contropartita è strategica prima che commerciale. 

E poi c’è la Russia. 

La Russia è un dossier che divide la stessa amministrazione Usa. Per ora le aperture di Trump, oltre a procurargli problemi, restano senza seguito; non è detto che in futuro anche Pompeo riveda le sue idee.

Che cosa è oggi l’Europa per gli Usa?

Trump vede i paesi europei come alleati, ma lo Stato dominante in Europa, la Germania, ha un surplus commerciale alimentato anche e soprattutto dai dollari americani e fa cospicui affari con la Cina. Gli Usa vorrebbero vedere segnali di un ribilanciamento della sua posizione.

Perché lo chiedono a Roma ma non a Berlino? Perché sanno di non poterlo ottenere?

Ci sono pressioni anche sulla Germania, ma la partita è più complessa, anche perché Berlino si è mossa in modo deciso verso Est, per esempio sul gas.

Anche nell’attuale periodo di crisi la Germania non intende modificare le regole. Non è illusorio pensare di potere sopravvivere in crisi con le vecchie ricette?

Con la guerra dei dazi l’economia europea, tedesca e di riflesso italiana è molto fragile. Se i dazi che penalizzano solo l’automobile bastano per mandare tutto il mondo occidentale in recessione, la Germania deve capire che servono ovunque più investimenti pubblici: Berlino non può attuare le politiche economiche e fiscali che impedisce di praticare agli altri. Altrimenti si creano ancora più squilibri. Gli stessi Stati Uniti, come l’Italia, hanno bisogno di grandi investimenti pubblici in infrastrutture e innovazione. Per lo stesso Trump è lo scoglio più grande e infatti i risultati economici sono insufficienti, a differenza di quanto molti vorrebbero far credere. 

Ma proprio in virtù di quello che ha appena detto, non vede una coabitazione difficile tra Europa e Stati Uniti con queste regole? Il conflitto c’è già: si tratta solo di prevederne il risultato…

Il problema c’è per tutto l’Occidente: serve una nuova stagione di investimenti in infrastrutture e innovazione. Senza questo non si riuscirà ad affrontare gli squilibri attuali. 

Pompeo vedrà anche papa Francesco. Le due agende divergono?

Non necessariamente. Il Vaticano ha il suo ruolo e un peso importante, e quindi anche in questo caso, nonostante le chiare divergenze su alcuni punti, il dialogo deve e non può non esserci. Su America Latina e Venezuela in particolare si possono costruire degli sviluppi positivi.

(Federico Ferraù)